Specchio, 11 luglio 2021
Biografia di Milena Baldassarri raccontata da lei stessa
Le Olimpiadi sobrie e controllate dalle regole anti Covid avranno bisogno di campioni emozionanti, di atleti capaci di portare la sfida fuori dai canoni anti paura. Tokyo è sempre più blindata e si prepara persino all’ipotesi di un nuovo stato di emergenza, rischia ogni giorno di vedersi togliere i pochi spettatori concessi. A questi Giochi non resta che sperare nel carisma dei suoi protagonisti e Milena Baldassarri si augura di portare l’eleganza in dote al Giappone in cui vivrà il suo sogno. Milena è l’individualista azzurra della ginnastica ritmica, la prima italiana ad andare a medaglia in un Mondiale in questa categoria. Balla da sola o quasi: c’è una Barbie che porta il suo nome e tante piccole indesiderate ossessioni che la accompagnano. Ne farebbe a meno.
Ha aspettato queste Olimpiadi per un anno, ora che sono dietro l’angolo che faccia hanno?
«Io vedo un desiderio che si sta per realizzare e sono pronta per la sfida. Non vedo l’ora. So che l’atmosfera sarà particolare, che il Villaggio non sarà vibrante come dovrebbe ma per me, dentro di me, sarà comunque una festa».
Piccola spiegazione per chi si sintonizza sulla ginnastica ritmica solo una volta ogni quattro anni.
«Semplice, quattro esercizi: cerchio, palla, clavette e nastro. Palla e nastro sono i miei preferiti perché sono più eleganti, è il motivo per cui mi sono innamorata di questo sport».
Per l’eleganza?
«Mia madre è un’insegnante di nuoto quindi io sono partita da lì, ho sbirciato un allenamento di ginnastica e sono rimasta bloccata, con la bocca aperta. Dovevo farlo anche io. Solo a osservare le altre, senza conoscere un solo elemento, mi sentivo leggera, volteggiante e insieme forte, è indescrivibile.
Proviamoci, come si arriva alle Olimpiadi volteggiando?
«Con una preparazione massacrante da 8 o 9 ore al giorno e un sacrificio notevole. Un impegno che si ripaga, ma un’attenzione costante. Se sei proprio giusto un pochino fuori forma non ti riesce più nulla».
Lei quanto dovrebbe pesare idealmente prima di una gara?
«Non si dice, è come l’età: non si chiede a una signora».
Mi scusi. Allora passiamo alla forza. Da dove la prende, ci sono atleti o personaggi noti che la motivano?
«Tanti. Nel mio sport tutta la scuola russa e poi Bebe Vio, Zanardi, le persone che non cedono e si reinventano».
Che cosa ha pensato quando Zanardi ha avuto l’incidente in handbike, la scorsa estate?
«Al destino, qualunque cosa voglia dire. Ero con la squadra in ritiro, momenti di solito assai rumorosi ed è calato il silenzio. Terribile. Eppure io lo penso sempre mentre combatte, anche ora, non me lo figuro affatto immobile, per quanti problemi possa avere sono sicura che la sua volontà lo spinge avanti: per questo è una figura di riferimento».
Lei ha 19 anni, fino a oggi la parola Olimpiade a che cosa si è associata? Immagine televisive?
«Nel 2012, a Londra, gareggiava la mia attuale allenatrice. Julieta Cantaluppi. Conoscerla dopo averla seguita in quell’avventura è stato elettrizzante, la sua esperienza oggi mi è fondamentale. »
Nel suo sport si ripete allo sfinimento ogni dettaglio in cerca della perfezione. Come ci si allena all’impossibile?
«La perfezione in sé non esiste, puoi solo tendere a raggiungerla. Puoi avvicinarti, è un po’ come avvicinarsi al sole: rischi di bruciarti quindi è fondamentale trovare un equilibrio. La ginnastica è meravigliosa, riempie, ma non lascia quasi nulla alla vita. Per me il tempo libero è semplicemente stare all’aria aperta dopo giornate chiuse in palestra o poter dormire di più. Ho imparato a godermi tutto».
Ha mai perso l’equilibrio?
«Stavo per farlo e non è l’allenamento che mi ha risucchiato piuttosto la superstizione anche se forse sono questioni legate. Questa spinta a ripetere, ripetere, ripetere per limare tutto quello che puoi porta anche dei condizionamenti. Io ho iniziato a fare piccoli gesti pre gare e poi a tenermeli quando andava bene e senza accorgermene mi sono trovata incastrata in una sequenza ossessiva».
È riuscita a smontarla?
«Non subito, prima è diventata una schiavitù, quasi un esercizio prima dell’esercizio. Ho capito che mi toglieva energia ed è stato fondamentale per rompere la gabbia che mi ero costruita. Anche se non è proprio tutto sparito. Ci sto lavorando, ci sono manie che mi tengo, anche se ora so che devo andarci piano».
Una mania che ha tolto?
«La sequenza del riscaldamento. Dopo un successo ho trovato una formula, tipo una filastrocca fatta di movimenti e ho cercato di riproporla sempre uguale, proprio identica, ma non solo il mio cervello scattava nella modalità start prima del dovuto, pure la mia attenzione a scaldare i muscoli scemava. Una trappola. Non è stato facile, so che a dirlo sembra una stupidata».
Non lo sembra. A che punto sta nello smaltire le ossessioni?
«Mi pare buono però è un attimo ricaderci. Lo sport è una potenza, solo che ti chiede così tanto da portarti sempre al limite. Però ora posso dire di riconoscere il punto di pericolo, se sento che la scaramanzia si prende anche solo un’oncia di carica la identifico come nociva. Quando parte la musica voglio essere carica, pronta. Se ci ricasco mi dico ad alta voce: basta. Funziona».
Resta una forma di autodisciplina.
«Forse, ora però ho il controllo. Almeno ci provo».
Nella ginnastica ritmica i traumi sono frequenti. Ha mai paura?
«No. Fa parte del gioco e io ho dato, mi sono fatta male al ginocchio, quattro anni fa, proprio con i primi risultati importanti e in realtà quello stop forzato e frustrante è legato all’incontro con il mio fidanzato. Lui allora giocava a basket, era infortunato. Ci siamo incontrati, sostenuti e innamorati».
Amore precoce, aveva 15 anni
«Lo so, ma è successo non potevo dire "ripassa". E poi le ginnaste fanno tutto presto, la nostra carriera finisce a 25 anni».
La spaventa questa scadenza?
«No. Ora si allunga l’età per tutto però la ritmica richiede un’elasticità che a un certo punto sparisce, è naturale».
Parla con gli attrezzi come Valentino Rossi fa con la moto?
«Sì, me lo ha insegnato mia nonna. "Tratta bene le cose". Non sono matta, cerco solo fiducia e ne avrò bisogno a Tokyo. Purtroppo i genitori non mi possono sostenere da vicino, le restrizioni proibiscono il viaggio. Saremo io, la mia allenatrice e gli attrezzi».
E la Barbie che ha ispirato non se la porta?
«Che ridere, quando mi hanno detto che esisteva una Barbie con la mia faccia ero in treno e mi sono sentita bambina e gigante insieme. Non sapevo più dove guardare. Da piccola ci giocavo e ora c’è chi gioca con me. Fantastico e poi è uguale, me sputata. Mi piace il fatto che abbia gli attrezzi come accessori invece dei vestiti. È una serie pensata per dare modelli alle ragazzine, quindi un onore».
Ci sono le farfalle azzurre, una squadra vincente e sorridente. E poi c’è lei, solista. A parte. Che effetto fare stare fuori dal gruppo?
«Il nostro ambiente non è affatto come lo disegnano. Certe volte mi pare che piaccia raccontarci in eterno conflitto, invidiose e dispettose. C’è solo stima immensa e aiuto reciproco. Certo, loro si allenano tutte insieme e io con la mia allenatrice. Approccio diversi».
E con le ginnastiche dell’artistico che rapporto c’è?
«Parliamo davvero di un altro sport, anche se stiamo nella stessa federazione. Non esiste il conflitto e io le ammiro, condividiamo un’estenuante fatica e la cura maniacale per il corpo. Loro devono sviluppare l’esplosività, noi la fluidità quindi abbiamo fisici assai differenti. Io non avrei potuto scegliere la ginnastica artistica, mi sento realizzata nei gesti eleganti, più che potenti».
Torniamo all’eleganza, un punto fisso.
«È quella che ti fa fluttuare e spero sia un modo di essere da tenersi nella vita, dalla maniera di camminare, fiera e consapevole a quella di pensare, in modo libero e deciso».