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 2021  luglio 11 Domenica calendario

Intervista allo scultore Anthony Cragg

Sir Anthony Cragg è uno scultore britannico. Vincitore del premio Turner nel 2004, vive a Wuppertal, in Germania, dal 1977. Attualmente espone alla Houghton Hall. Si definisce un materialista radicale: «Sono uno scultore. Studiamo i materiali, la loro forma e i loro significati, quali idee ne sviluppiamo. C’è una base materiale per tutto».
Come ha creato il suo stile?
«Inizialmente non intendevo realizzare sculture, ma solo capire come una forma, un colore, una trama possano cambiare le mie idee o le mie emozioni. Ho scoperto che lavorare con i materiali era immediato, spontaneo e molto dinamico. L’idea che scolpire sia copiare una figura, come si impara alla scuola d’arte, non mi è mai sembrata importante. La scultura è uno studio del mondo materiale, non nel modo in cui lo studiano gli scienziati, ma ci dice cosa significa e come ci sentiamo al riguardo».
La sua scultura non è figurativa, come quella di Rodin o Maillol o Giacometti?
«Il mio lavoro ha sempre una struttura interna, ciò che vediamo sulla superficie è la conseguenza di ciò che c’è sotto. Per dare un’idea del mio aspetto, devo poterlo spiegare, e questa è la base del mio lavoro. Ha elementi figurativi, perché il materiale può essere lì senza di noi, ma il nostro cervello gli dà forma e colore. Questa è la cosa affascinante».
Lei è cresciuto in una fattoria e da piccolo era appassionato di geologia e voleva diventare scienziato. Come ha capito di essere un artista?
«Mio nonno era un agricoltore del Sussex, mio padre divenne ingegnere nel settore aeronautico ed era sempre in movimento, quindi ho frequentato molte scuole diverse e la scienza era più facile da seguire. Ma a 18 anni, lavorando in laboratorio, ho capito che non era quel che volevo fare. Avevo iniziato a disegnare e mi appassionava. Sono entrato al Royal College of Art di Londra e ho incontrato un mondo nuovo di zecca, pieno di prospettive entusiasmanti».
Disegna ancora?
«Sì, per piacere. Nel momento in cui metti la matita sulla pagina e inizi a fare qualcosa, hai subito un’emozione, e da questa lentamente le idee evolvono. Se voglio prendere nota di qualcosa, la disegno. È l’inizio della maggior parte del lavoro. È un’attività fantastica, un mezzo meraviglioso».
Perché si è trasferito in Germania?
«Il mio professore ha detto: "Tony Cragg, ti mandiamo in Francia". Sono stato per un anno in una scuola d’arte a Metz. La mia ragazza all’epoca era tedesca e diceva sempre: "Dovresti venire in Germania". Alla fine ci sono andato, e ho trovato una cultura bella e dinamica con modi eccitanti e diversi di fare le cose. Quando ho finito i miei studi a Londra, ho deciso che sarei venuto in Germania per un anno. Mi è stato offerto un lavoro nella famosa accademia d’arte di Düsseldorf con artisti fantastici come Richter e Beuys, ma non ero nella loro cerchia di amici. Ero più giovane e li ammiravo, ma non ci siamo scambiati idee. Il mio lavoro era di nuova generazione».
Perché vive ancora in Germania?
«Perché qui ho moglie e figli. L’accademia d’arte di Düsseldorf è stata un’esperienza straordinaria per me e ho lavorato lì per 38 anni. In Germania le persone sono state molto generose con me. Parte del tempo vivo anche in Svezia, perché la natura è selvaggia e stimolante, ma io sono e resto britannico. Il mio senso dell’umorismo e il mio modo di guardare il mondo dipendono dalla mia educazione e dai miei primi anni. Il rapporto con la Gran Bretagna è molto importante per me, ma non ho mai visto l’opportunità di tornare».
Che ne pensa della Brexit?
«Quando ero bambino i francesi erano "mangia rane", i tedeschi "crucchi". C’era molta diffidenza. Negli ultimi 60 anni abbiamo condiviso le nostre culture. Ha migliorato la qualità e il significato delle nostre vite, e mi spiace molto che abbiamo perso una parte di questo. L’Unione Europea non è l’ideale, ma sarebbe stato meglio restare e cercare di migliorarla, piuttosto che voltarle le spalle».
Le piace che le sue opere appaiano in luoghi pubblici?
«La scultura è importante. Ci aiuta a pensare al mondo. Stiamo distruggendo la natura, quindi siamo responsabili di una riduzione della forma sul pianeta, che significa riduzione delle idee, delle emozioni, del linguaggio. Siamo responsabili dell’impoverimento della qualità materiale del mondo».
Le sculture nelle città sono per lo più di re o politici o artisti famosi o filosofi, ma gli obelischi dell’antico Egitto non rappresentavano la figura umana. Stiamo tornando indietro nel tempo?
«Storicamente la scultura è una dichiarazione di potere perché è piuttosto difficile da realizzare. Devi avere materiale, strumenti, tempo, energia e spazio. Ai tempi dei greci non c’erano molti specchi ed era fantastico che gli esseri umani potessero riconoscersi. La scultura esprime sempre la propria epoca».
Qual è la sua direzione futura?
«La scultura richiede tempo e nel frattempo ti vengono molte idee. Quando il lavoro è finito penso spesso, "oh, se avessi fatto così, sarebbe stata un’espressione diversa di un’idea diversa", e quindi torno indietro e riprovo per vedere cosa ne ricavo andando in quella direzione. Mi ritrovo con così tante cose da fare. Ora, a 72 anni, vado in studio ogni giorno. Ho ancora una salute relativamente buona e sto ancora inseguendo il mio lavoro. Questa è la cosa grandiosa. Non sai come sarà il domani».
Ha realizzato le sculture a Houghton Hall appositamente per la mostra?
«Sì, alcune almeno. Ho realizzato tre sculture all’aperto che non erano mai state esposte prima. Tra i lavori interni, molte nuove opere in vetro non sono state esposte prima, e nella Stone Hall ci sono tre sculture abbastanza grandi che sono completamente nuove. Poi ho diverse mostre in programma nei prossimi tre anni».
Dove?
«A Vienna, in Danimarca, a Venezia nella biblioteca dove Galileo mostrò al mondo che la terra era una sfera». —
traduzione di Carla Reschia