Specchio, 11 luglio 2021
Ritratto di Cathleen Schine
Non conosco personalità del mondo letterario che mi metta di buon umore più di Cathleen Schine. Cathy, come la chiamiamo tutti, è una donna colta, intelligente e generosa che coltiva il dono della leggerezza. Ma è soprattutto molto spiritosa, specie nei confronti di se stessa: un ennesimo segno di leggerezza e intelligenza. Ci siamo conosciuti per un’intervista a metà degli anni ’90 che non ebbe mai luogo: avremmo dovuto incontrarci nel mio ufficio della New York University, ma mentre mi raggiungeva venne investita da un’automobile, per fortuna senza gravi conseguenze.
Ignaro dell’accaduto, aspettai per più di due ore e, quando cominciavo a innervosirmi, attribuendo il ritardo alla maleducazione, lei mi chiamò dall’ospedale, scusandosi e spiegandomi cosa fosse successo. Mi colpì immediatamente il tono scherzoso con cui raccontava l’incidente, che catalogava all’interno della sua «lunga e continua serie di disastri quotidiani», e mi resi subito conto di trovarmi di fronte a una donna piena di passione, nella quale convivevano la cultura ebraica della famiglia e quella del New England, l’area in cui è nata e cresciuta. L’intesa fu immediata e cominciammo a parlare come se fossimo vecchi amici: nel giro di poco tempo cominciammo a frequentarci e, tra le prime cose che mi raccontò, ci fu la decisione di lasciare il marito David Denby, critico cinematografico del New Yorker e padre dei suoi due figli, per Janet Meyers, la produttrice cinematografica che poi ha sposato.
All’epoca non avevo attribuito troppa importanza al fatto che la missiva al centro della Lettera d’Amore rivelasse a sorpresa una relazione omosessuale, ed ero semmai rimasto colpito dalla finezza psicologica con cui raccontava tutti i personaggi, spiazzati e incuriositi dalla lettera: il romanzo venne amato enormemente da Kate Capshaw, la quale lo fece leggere al marito Steven Spielberg, che decise di realizzarne un film in veste da produttore. «Non riuscivo a crederci», mi raccontò, emozionata che un cineasta così mitico si fosse appassionato al suo libro, ma poi, con la solita ironia, mi spiegò che «quando lessi la sceneggiatura, notai che non c’erano grandi differenze con il libro, salvo che il personaggio di uno psicanalista era stato trasformato in un pompiere: ancora non ho capito il perché».
Isuoi romanzi sono caratterizzati dalla leggerezza che contraddistingue il suo carattere, ma questo non le impedisce affatto di raggiungere la profondità, anzi proprio la leggerezza ne è la chiave d’accesso. Non è un caso che sia un apprezzato critico letterario della New York Review of Books, con saggi che si distinguono per acume e finezza. È orgogliosa che la rivista People l’abbia definita una «Jane Austen dei nostri tempi», e basta leggere l’incipit della Lettera d’amore per comprendere che il paragone non è affatto peregrino: «Il giorno in cui arrivò la lettera, il caprifoglio era dappertutto, come il caldo. Le rose selvatiche fiorivano su siepi di viticci e profumo. C’erano api grasse, api a forma di dirigibile, paffute e minuscole. Era un mattino dolce e scompigliato e il sole sorgeva tranquillo, in uno spettacolare rossore. Seduta in veranda, Helen vide il giorno, lo vide fin dall’inizio maturare a poco a poco come una mela. Giugno era il mese che non poteva durare, con le sue brezze così profumate di boccioli che persino i fiori, tremuli e oscillanti, ne erano inebriati. Una formica camminò sul bracciolo della sedia di Helen, poi sul tavolo e infine dentro il suo caffè. Le formiche, le venne in mente, erano creature ammirevoli». «Cathy ama la natura e gli animali, in particolare i cani, che sono al centro dei Newyorkesi, il delizioso romanzo con protagonisti gli abitanti della metropoli che portano i cani a passeggiare a Central Park: è notizia recente che Adam Gopnik sta scrivendo un musical basato sul testo: «un’altra vicenda incredibile: mai nella vita avrei immaginato che il libro potesse diventare il soggetto per uno spettacolo teatrale».
Non è certo sorprendente che Cathy adori le commedie, e ce ne sono alcune che conosce a memoria e rivede costantemente, come È ricca, la sposo, l’ammazzo: le basta parlarne per esplodere in una risata contagiosa, prima di spiegare che è d’accordo con Fellini che i comici sono dei «benefattori dell’umanità». Da qualche anno si è trasferita a vivere in California, in una bella casa a Venice: sostiene che non le manca New York, ma ogni volta che ritorna rimane affascinata dall’energia e la potenza della città. «Tuttavia Los Angeles, con il suo clima e i suoi tempi lenti, si adatta meglio al mio carattere estremamente pigro».
Una volta ha raccontato: «Amo il mio letto. È più grande di una scrivania ed è strutturato in maniera migliore per poggiare libri e carte. È più morbido di una scrivania, ed è disegnato meglio per poterci riposare: è il centro di tutte le cose belle. Di giorno, o di notte sanno tutti dove trovarmi». A rileggere i suoi libri, si capisce subito che il cuore di ogni sua riflessione è l’amore, raccontato spesso come un tormento del quale è impossibile privarsi, ma che rende la vita degna di essere vissuta anche quando genera sofferenza: «L’amore mi tormenta come se fosse dolore» ha scritto, e «sono innamorata. Una scelta tipicamente stupida» e poi «Mi lascerai, ti dimenticherai di me. Gli uomini sono tutti uguali. Proprio non ci arrivate. L’abbandono è una forma di stupro».
Il dolore di cui è costellata l’esistenza contrasta però con l’incanto per la bellezza che ci circonda ogni momento. Una volta, a Capri, al termine di un evento delle «Conversazioni», un amico ci invitò a bordo del suo yacht a fare un giro della costiera amalfitana: non dimenticherò mai l’incanto di Cathy «non c’è nulla che duri» mi disse quella sera, «ma guai a non godere di ogni cosa che ci viene regalata, e non saper godere dell’attimo fuggente».