Corriere della Sera, 12 luglio 2021
Intervista a Fabrizio Salini, da oggi ex ad della Rai
A 55 anni non si può avere tutto il passato alle spalle. Così Fabrizio Salini, da tre anni amministratore delegato della Rai, oggi in uscita (il successore è Carlo Fuortes), sembra portato a considerare la sua «una bellissima esperienza» in una carriera da manager televisivo ancora da percorrere. E forse anche per questo non graffia, non attacca, non recrimina, ma felpatamente manda a dire in questa che è la sua ultima intervista da Viale Mazzini.
Lei è stato in silenzio mentre in molti l’attaccavano. Cosa vuol dire adesso?
«Ho l’esigenza di esprimere soddisfazione rispetto a questi tre anni. Ho parlato poco, ho preferito lavorare. Il mio obiettivo era il rinnovamento, la sperimentazione, la costruzione di linguaggi e di generi».
Ci è riuscito?
«Ho portato in Rai più cultura, più documentari. Ho puntato sull’offerta digitale, RaiPlay, su cui c’era tanto scettiscismo: oggi è una piattaforma con contenuti originali aperto al grande pubblico. Abbiamo cominciato con Fiorello e proseguito con Ossi di Seppia, l’Altro Festival, The Jackal. Per l’autunno abbiamo annunciato i podcast».
Ma la tv tradizionale ha vissuto molto dei vecchi format.
«Prodotti e personaggi nuovi non sono mancati: penso a Bollani, Lundini, alla docuserie Sogno azzurro, a Sette storie, Ricomincio da Raitre. E abbiamo rinnovato il daytime di RaiUno».
Con quali ascolti?
«Molto positivi, in questo semestre la Rai ha guadagnato un punto e mezzo in prime time e uno circa in daytime. La Radio è in crescita».
Nel 2020 con tutta la gente in casa si poteva andare oltre le repliche di Montalbano? Si poteva sperimentare?
«Lo abbiamo fatto nella cultura, nella didattica a distanza, nei programmi per i più giovani, tre ore di diretta al giorno, che hanno riportato alla Rai questa fascia di pubblico. In quella fase i set e le dirette d’intrattenimento si sono fermati. Abbiamo garantito l’informazione e l’approfondimento che, in una macchina complessa come quella della Rai, non era impresa scontata».
Sanremo senza pubblico è stata una scommessa.
«Vinta. Faceva parte di un percorso per mettere al centro musica e giovani. La vittoria dei Maneskin, anche all’Eurovision, e il loro primato nelle chart internazionali premia il lavoro di Amadeus e Fiorello. Tre anni fa nessuno ci avrebbe creduto».
Insomma si promuove?
«Alcune cose si potevano far meglio. Ma la Rai oggi è più solida e pronta a affrontare i prossimi anni».
Lascia al bilancio del 2021 i circa 70 milioni dovuti alla Uefa per gli Europei di calcio e i 40 milioni per l’esclusiva delle Olimpiadi di Tokyo, eventi rinviati di un anno.
«Il rinvio ci ha consentito di chiudere in pareggio il 2020, come il ‘18 e ‘19. Questo nonostante il calo dei ricavi, in parte grazie a interventi sui costi. Per il 2021 l’andamento della pubblicità nel 1° semestre è molto positivo».
Lei voleva riportare il canone tutto alla Rai. Ma dei 90 euro, ne entrano 75.
«Più di prima. Il canone deve andare tutto alla Rai: è la base. È tra i più bassi d’Europa tra i servizi pubblici».
Ci sono emittenti che producono anche più informazione della Rai. Non è servizio pubblico?
«Il servizio pubblico è informazione ma anche pluralismo, equilibrio, promozione della coesione e dell’inclusione sociale, significa essere un perno per il sistema dell’audiovisivo, veicolare valori attraverso la cultura».
A proposito d’informazione, il presidente Foa dice che quella del portale Rai è al 20° posto in Europa.
«C’è un progetto pronto a riguardo. Basterà girare la chiavetta».
Caso Fedez. Secondo lei il servizio pubblico deve controllare i contenuti o no? Non si è capito.
«Intanto la censura non c’è stata. Poi ci sono linee editoriali da seguire. Ma controlli preventivi, mai».
Lei in tre anni ha visto tre governi diversi. Un inferno.
«Seguendo le nostre linee programmatiche, non ne abbiamo risentito».
I partiti l’hanno attaccata tutti i giorni.
«Siamo un servizio pubblico, le critiche ci stanno. Abbiamo portato a termine il triennio e non era scontato».
È stato il primo ad a avere i pieni poteri della nuova legge. Li ha usati?
«Li ho esercitati nel modo più corretto. Cambierei la durata del mandato, troppo breve e, adesso lo posso dire, il tetto ai compensi. E non lo dico per me che sono in uscita».
Ci sono proposte di riforma ispirate alla Bbc che introdurrebbero una maggiore indipendenza dei vertici. Le condivide?
«Una legge in sé dice poco: dipende da come viene applicata».
Glielo chiedo diversamente: si può governare davvero la Rai nell’attuale assetto?
«Ho avuto un buon rapporto con la Vigilanza, con l’azionista e il Mise...».
E con i quattro consiglieri politici nel cda?
«La legge è quella e forse è un aspetto ineludibile in un servizio pubblico».
Se lo toglie un sassolino?
«No, più che altro ho qualche rimpianto. Alcune cose si potevano fare meglio ma abbiamo aperto molto la Rai: lavorano più case di produzione, più talenti, più registi».
Ma gli agenti la fanno da padrone. Nei palinsesti autunnali di nuovo c’è solo Cattelan?
«Si è molto rinnovato in questi tre anni. Non si cambia per cambiare».
Un personaggio che avrebbe voluto in Rai?
«Checco Zalone: un personaggio davvero unico».