la Repubblica, 12 luglio 2021
Manuale Djokovic
LONDRA – Al ventesimo Slam della vita, quello che ti fa raggiungere Roger Federer e Rafa Nadal, le parole potrebbero anche essere superflue. Non è il caso di Novak Djokovic, sempre più lucido. Sempre più determinato.
C’è solo lui in corsa per la medaglia del Grande Slam, un refrain che sentiremo molto nei prossimi giorni – da qui agli Us Open di New York di fine agosto-inizio settembre. Ha vinto tutto, il serbo, è la ciliegina che gli manca, e gli occorre, per essere insignito del titolo di G.o.a.t, acronimo che sta per essere il più grande della storia. Un argomento al quale non si sottrae: «Ovvio che io mi consideri il migliore e credo di essere il migliore, altrimenti non parlerei con sicurezza di vincere Slam e fare la storia. Ma che io sia il più grande di tutti i tempi o meno lascio questo dibattito ad altre persone: difficile confrontare le epoche del tennis. Ma sono estremamente onorato di far parte di questa conversazione».
Non si è numeri uno per caso. E Djokovic, da sempre, non ha paura di esprimere il pensiero. Anche sulle Olimpiadi: «Ho sempre detto che ci sarei andato, ma le ultime notizie non mi sono piaciute. Ora sono diviso a metà, ci penserò su». Tokyo però è il futuro, il presente è troppo più bello per non tornarci su e analizzarlo. «Questo è probabilmente, se devo sceglierne uno, il mio momento clou degli ultimi 15 anni di tour: ora ho la capacità di far fronte alla pressione, perché più giochi le grandi partite, più esperienza hai. Più esperienza hai, più credi in te stesso. Più vinci, più sei sicuro di te. Tutto connesso. Per me l’età è solo un numero. Non mi sento vecchio o cose del genere».
Quindi la Next Gen si metta l’anima in pace: Djokovic non solo non getta la spugna, ma rilancia la sfida a tutti. E il suo segreto è saper scavare dentro di sé, senza paura di rivelarlo a tutti: «Come sapete, ho perso anche un bel po’ di finali del Grande Slam, dove peraltro mi sentivo vicino alla vittoria. Come diceva Michael Jordan: “Ho fallito, ho fallito, ho fallito, ed è per questo che alla fine ci sono riuscito”. Ecco, è un processo di apprendimento, una curva di apprendimento. Certo, voglio dire, sono stato molto fortunato a essere così forte nei momenti decisivi dei più grandi tornei della mia carriera».
Niente male, no? Ma il serbo rivela anche cosa succede nel dietro le quinte. «Penso che la maggior parte degli appassionati veda cosa combiniamo in campo, i nostri comportamenti. Ma, in realtà, è prima della partita che le cose succedono. Nei preparativi. Le cose che affronti internamente influenza notevolmente il modo in cui ti avvicini alla partita, il modo in cui la giocherai. Per dire, qui ho provato prima delle semifinali e della finale un’emozione leggermente diversa in termini di aspettative: il passato e la storia sono ritornati forte, anche se ho cercato di non pensarci troppo, cercando di avvicinarmi a questa partita come a qualsiasi altra partita. Ma a volte le cose sono così grandi fuori dal campo che è difficile evitarle. Così, solo con l’esperienza, impari come affrontarle. Impari ad accettare le circostanze che stai attraversando cercando di trasformarle nel carburante di cui hai bisogno».
Questo è Novak Djokovic, e le sue testuali parole. Potrebbero essere tranquillamente trascritte per un manuale di sport, da studiare all’università. Chapeau.