la Repubblica, 12 luglio 2021
Una Costituzione fondata sull’arte
La Costituzione è un pezzo di carta, diceva Calamandrei; se la lasci cadere, non si muove. Invece no, si muove. Nei suoi settantatré anni d’esistenza ha assunto mille fogge, s’è vestita di mille colori. E ha ricevuto più ritratti di Elton John, che pure è suo coetaneo. Quel pezzo di carta è stato dipinto, scolpito, recitato, espresso in versi o in filastrocche, perfino suonato a tempo di rap. Qualche volta da celebri attori, come Benigni; o da artisti di valore; ma più spesso nelle scuole, dai ragazzi, nell’ambito di varie iniziative. Da questo popolo la Costituzione – oggetto altrimenti inanimato – riceve un’anima, una passione, raccogliendo l’appello di Calamandrei; e in quell’anima noi italiani riflettiamo un po’ noi stessi, oltre che il nostro rapporto con la regola più alta.
Ma che faccia ha la Costituzione? In una vecchia illustrazione di Walter Molino ( La Domenica del Corriere, 25 maggio 1958) mostra un’espressione accigliata, mentre una corona sormonta il suo corpo femminile, fasciato dal tricolore. Nel murale di 25 metri realizzato a maggio scorso da Greg Jager (Roma, quartiere Garbatella) diventa un insieme di simboli e di linee, di cupole, di stelle filanti. Nella moneta da 2 euro, coniata nel 2018 per festeggiarne il 70° compleanno, la Costituzione torna viceversa ad essere una scritta, una parola sopra l’immagine incurvata di Enrico De Nicola, che sta firmando il documento. Altrove tuttavia la scritta si trasforma, s’allarga, si dispone in rime. Come nelle Filastrocche sulla Costituzione di Pamela Villoresi (2005): «Benvenuti. A voi mi presento / sono il documento / il monumento dell’Italia unita». O nella Filastrocca della lieta favella di Mimmo Mollica (2021): «Usa una lingua elastica e leggera / duttile, com’è duttile la cera… scritta per l’uomo, l’acqua e la natura / e per la terra, per averne cura». Come nella poesia dettata da Fantavolando (2020), dove risuona un timbro fanciullesco: «L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro / lo dicono unite le persone in coro». O come nei versi declamati nelle scuole, su e giù per la penisola. A Guastalla (2019), dai “Bambini di sana e robusta Costituzione”, così come a Ferrara, dagli studenti liceali ( Costituzione. Scriviamola a mano ), nonché in altre innumerevoli occasioni.
Giacché la nostra Carta si presta a venire recitata, né più né meno d’un testo teatrale. Nel 2012 le prestò voce Roberto Benigni, con uno spettacolo trasmesso dalla Rai. Ma già anni prima, nel 2003, Paolo Rossi interpretò un monologo ( Il signor Rossi e la Costituzione). Fra le letture pubbliche, quelle di due scrittori: Alberto Rizzi a Ferrara (2017), Giacinto Sica a Milano (2019). Dopo di che la nostra Carta è messa in scena da Ninni Bruschetta, con una compagnia d’attori non professionisti, nei teatri delle periferie romane ( La Costituzione, 2008). Sempre a Roma, ma dentro il carcere di Regina Coeli, nel 2013 viene recitata dagli stessi detenuti, in un progetto curato da Corrado Veneziano. Mentre alle parole s’affiancano cortometraggi, poster, mosaici, dipinti, album fotografici, sculture, installazioni, in varie iniziative destinate agli studenti: per esempio La Costituzione a regola d’arte (Casatenovo e Cassago Brianza, 2008), la Festa della scuola e della Costituzione (Frosinone, nel 2019 l’ottava edizione) o il concorso La Costituzione dei ragazzi, indetto nel 2017 dal ministero dell’Istruzione insieme alla Consulta.
E infine la Carta costituzionale si fa musica, suono, canto. Con il Rap della Costituzione, intonato dagli studenti marchigiani del don Bosco (Tolentino, 2018). Con il brano di Shapiro, che ne rilegge i primi articoli ( Undici, 2012). Con il concerto dei Cantosociale ( Rodari e la Costituzione, Milano, 2020). Nelle sue rappresentazioni musicali il «pezzo di carta» di Calamandrei perde il suo corpo fisico, diviene pura forma, o meglio idea, sogno, aspirazione. E dopotutto è questa l’immagine ideale che proiettano le tante raffigurazioni della nostra Carta: la Costituzione rappresenta ciò che noi italiani vorremmo essere e non siamo. Ospita il meglio dei nostri sentimenti, ecco perché ne onoriamo la bellezza, per specchiarci in una purezza d’animo che quasi mai riusciamo a coltivare. Nella vita vissuta siamo più spesso egoisti, aggressivi, nemici dell’altrui libertà. E la storia repubblicana mostra come la Carta sia stata a lungo disattesa, come tutt’oggi non venga rispettata.
Tuttavia c’è almeno un’opera che denunzia questo doppio tradimento – di noi stessi e della Costituzione. S’intitola La Grande Carta, l’ha realizzata nel 2018 uno scultore pugliese (Antonio Fraddosio), è collocata nell’atrio dell’Antitrust, a Roma. Con una base di ferro e cemento, due metri per tre, da cui sporge un aggetto che s’allunga a sua volta per un metro; e con l’uso di materiali in fibrolegno, intonaci, stucchi, cementi, gessi di vario tipo. Da qui superfici granulose, cui l’artista imprime una torsione, o meglio una distorsione. E l’insieme è potente come un colpo di frusta: quel foglio biancastro appare spiegazzato, lacero, corroso. Vi si deposita l’ombra, non la luce. E vi risuona come un lamento, una protesta. Contro le offese alla Costituzione, certo. Ma anche contro ogni deformazione del nostro vivere comune, contro ogni prepotenza, discriminazione, abuso.
Quando ciò accade – e accade tutti i giorni – non adoperiamo più il pennello sulla Costituzione, bensì piuttosto una gomma. Cancellature, per usare il linguaggio di un altro artista, Emilio Isgrò. In una mostra del 2010, a Verona (La Costituzione cancellata), vennero esposte le sue tavole: raffiguravano pagine sbiadite, macchiate, invase da una nuvola d’insetti, oppure cancellate con un frego. Visioni contrastanti rispetto all’immagine idealizzata della Costituzione, che si riflette altrove, in altre e più numerose opere. Però entrambe veritiere: quella Carta rispecchia l’anima più nobile degli italiani, ma anche la loro cattiva coscienza.
Da Benigni a Shapiro da Greg Jager a Isgrò odi civili e rap, concettuale e murales, colto e pop alto e basso tutto si mescola Ne onoriamo la bellezza per specchiarci in una purezza d’animo che quasi mai riusciamo a coltivare nella vita vissuta