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 2021  luglio 12 Lunedì calendario

Il trionfo dell’Argentina e il primo titolo di Messi in biancoceleste

Alle 22.50 di un sabato sera al Maracanã tutto ha iniziato a girare per il verso giusto per Lionel Messi. Dopo 15 anni di sforzi e cinque finali perse, ha finalmente conquistato un titolo con la nazionale maggiore. Si è inginocchiato, mani sulla faccia e occhi pieni di lacrime e ha ricevuto la montagna umana dei suoi compagni di squadra; felici per loro ma soprattutto per lui, una Coppa America che straccia l’anomalia assurda di non vederlo campione con la biancoceleste. «Avevo bisogno di togliermi questa spina – dirà Leo poco dopo – ci sono andato vicino diverse volte, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Dio mi ha dato questa possibilità adesso, in questo stadio e contro il Brasile, si vede che doveva succedere così». Alza al cielo la Coppa nell’estate più strana della sua carriera, giocatore senza squadra, anche se molti pensano che adesso, con l’animo in pace, firmerà per un altro anno con il Barcellona. Da Rio il grido di gioia è arrivato a Buenos Aires risvegliando un Paese tramortito dalla pandemia e dall’ennesima crisi economica. Tutti all’Obelisco, il teatro delle grandi feste nazionali, a festeggiare come se non ci fosse Covid né domani. C’erano i giovani e giovanissimi cresciuti a pane e Messi, i quarantenni che mal si ricordano l’ultimo trionfo (Copa America 1993), 28 anni fa. Gente che ha pianto per i mondiali in Giappone, con Bielsa e Batistuta o in Sudafrica, con D10S in panchina a cullare il suo pupillo di Rosario. Ed è bello che la rivincita si consumi grazie alla splendida zampata del gol partita di Di Maria, che aveva saltato la finale 2014. «Forse in passato sarebbe potuta andare diversamente – ha detto “Fideo” – ma il calcio è così, prende e restituisce, basta crederci». Prendere e dare, storia antica del futból. Buffo che a trionfare sia un allenatore nato per caso, Lionel Scaloni, affiancato da ex compagni di nazionale (Aimar, Ayala, Walter Samuel), uno staff che ricorda l’Italia di Mancini. L’uomo della finale è stato Rodrigo de Paul, solido e ispiratissimo, bravo anche il difensore del River Montiel. C’è molta serie A in questa squadra di giovani promesse, che fa sperare nell’inizio di un ciclo. Per la seleção è una sconfitta pesante, anche se per molti brasiliani questa Copa America, fortemente voluta da Bolsonaro nonostante il Covid, non si doveva nemmeno giocare. Tite, ora, traballa. Applausi bipartisan, invece, per Neymar. Bellissimo il suo abbraccio a fine partita con l’amico Messi. Ancora più bella la scena nel tunnel che porta agli spogliatoi; Leo, Ney e Paredes che ridono e scherzano a torso nudo, incuranti dei fotografi. Mancava la lattina di coca-cola e sembravano tre dodicenni in un campetto di periferia. Titoli di coda ideali per una notte magica. —