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 2021  luglio 12 Lunedì calendario

Intervista a Nanni Moretti

Cannes
Sulla «montée des marches», durante il rituale con cui, al Festival di Cannes, autori e interpreti mettono in scena una specie di ideale ascesa nell’Olimpo dei grandi cineasti, Nanni Moretti ha voluto che fossero diffuse le note dell’Allegria, l’ultimo brano di Lorenzo Jovanotti cantato da Gianni Morandi: «Il mio è un film doloroso, ma non c’è dramma, anzi, io lo vedo come un inno alla vita, all’umanità, alla pietà». Dopo l’attesa durata più di un anno, dopo i rinvii e le incertezze, Tre piani ha iniziato ieri, davanti agli 11 minuti di applausi dei 2314 spettatori del Grand Theatre Lumiere, la sua vita di film attesissimo (dal 23 settembre nelle sale con 01), ispirato al romanzo di Eshkol Nevo, attraversato da un senso lampante di scoramento, illuminato, solo nel finale, da uno scambio di sguardi tra madre (Margherita Buy) e figlio (Alessandro Sperduti): «Questa storia – spiega il regista – racconta la nostra tendenza a condurre vite isolate, ad alienarci da una comunità che, non solo non vediamo più, ma di cui pensiamo anche di poter fare a meno. Eppure le vicende di questi personaggi ci mostrano quanto tutti noi siamo coinvolti nello sforzo comune di sentirci parte di una collettività. Il film è un invito ad aprirsi al mondo esterno che riempie le nostre strade, fuori dalle nostre case».
Vent’anni fa, qui al Festival, ha vinto la Palma d’oro con La stanza del figlio. Rispetto ad allora si sente cambiato?
«Da quando ero ragazzo desideravo fare questo lavoro e, per fortuna, ci sono riuscito. Onoro questo destino cercando di fare al meglio il mio mestiere, stando attento a ogni dettaglio, in ogni fase della lavorazione. In questo non sono cambiato, il mio è un mestiere bellissimo, bisogna farlo con attenzione e tenacia, dal primo all’ultimo momento».
Per la prima volta dirige un film partendo da un libro e non da un soggetto originale. Come è andata?
«Nei decenni scorsi c’erano state altre occasioni in cui avevo pensato a film tratti da libri, non so se, 30 o 40 anni fa, girando un film basato su un soggetto non mio, mi sarei sentito diminuito come autore. Oggi non è così, quando Federica Pontremoli mi ha fatto leggere il romanzo, ho capito subito che mi interessava moltissimo e sono stato strafelice di aver trovato, in quei temi, in quei personaggi, in quei sentimenti, il nucleo di quello che sarebbe stato il mio nuovo film».
Che ruolo hanno, nella vicenda, le figure femminili?
«Sono quelle che cercano di sbloccare nodi e grovigli, i personaggi maschili restano, invece, inchiodati nei loro ruoli, sono fermi, non concedono nessuno spazio all’altro».
Ha aspettato più di un anno l’anteprima in concorso a Cannes, è stato difficile?
«Conoscendomi bene, non pensavo che avrei reagito così sportivamente all’idea di tenere un film in freezer per tanto tempo. Stavolta, però, è andata in modo diverso, non mi è venuta nessuna voglia di rimetterci le mani, mi sono messo, invece, a scrivere una nuova sceneggiatura, e al produttore, Domenico Procacci, ho chiesto di non farmi nemmeno sapere quanto avrebbe offerto Netflix per programmare Tre piani su piattaforma, saltando il passaggio in sala».
La pandemia ha dato grande impulso allo streaming, a tutto svantaggio delle sale. Lei come la pensa?
«Amo vedere i film al cinema, come regista, come produttore, come esercente, soprattutto come spettatore, non è un fatto nostalgico, ma una cosa di cui non riesco a fare a meno. Appena le sale si sono riaperte, sono tornato al cinema e il film che più mi ha colpito è stato The father, per come è recitato e costruito».
Le piattaforme possono mettere in pericolo il cinema?
«Il rischio è che non si facciano più film personali e che i produttori finiscano per lavorare direttamente con i loro finanziatori, con le piattaforme, e non con gli autori. E invece io sono per prodotti non standardizzati, da vedere al cinema, non sui cellulari e sulle tv di tutto il mondo».
Cosa ha pensato quando ha saputo che la presentazione al Festival avrebbe coinciso con la partita dell’Italia?
«Voi giornalisti mi avete sempre attribuito qualità profetiche, devo dire che, 4 anni fa, quando ho iniziato a pensare al film, sapevo che domenica 11 luglio 2021 l’Italia si sarebbe battuta su tre piani, quello tennistico, quello cinematografico e quello calcistico, già sapevo, avevo avuto una visione...».
Come ha scelto gli attori ?
«Tutti gli interpreti hanno fatto provini per i loro ruoli, l’unica eccezione è stata per Margherita Buy, è la quarta volta che lavoriamo insieme. Secondo me la Buy è la nostra Meryl Streep, può fare tutto, e sempre al meglio».
Come ha vissuto il tempo difficile del Covid e dei lockdown?
«Che esistessero gli altri lo sapevo già, così come sapevo che ci sono forti diseguaglianze sociali, che la morte fa parte della vita e che la fortuna gioca sempre un ruolo importante nelle nostre esistenze. Io sono stato attento e il Covid non l’ho preso, ma altri, ugualmente attenti, si sono ammalati. Come tutti ho patito la clausura, dovevamo farla e l’ho fatta, ma il Covid non mi ha fatto capire nessuna cosa in più».
Le capita di vedere serie tv?
«Non sono malato di serie, uso il prodotto, con moderazione. Mi piacciono Il metodo Kominsky, The last dance, Call my agent, ho visto con interesse SanPa».
Il suo prossimo film si chiama Il sol dell’avvenire, di che parla?
«Spero di iniziare a girare nel prossimo febbraio, il soggetto è originale, scritto con Valia Santella, Federica Pontremoli e Francesca Marciano. E qui lasciamo in sospeso...». —