il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2021
Il Covid fa ballare il mattone. Tiene solo Milano
La casa post Covid? Più grande. Con una stanza in più per fare smart working. Anzi no. Con due stanze in più per la didattica a distanza dei ragazzi. Anzi no. È l’ora delle micro-case, dice la società svizzera Artisa. Che a Milano annuncia un piano da 2 mila alloggi nella seconda periferia entro il 2025. Per fare concorrenza agli affitti brevi di Airbnb con le locazioni a medio termine per i city user delle città: da 4 settimane a un anno, destinati a manager, turisti, pazienti di ospedali e cliniche, studenti. Li chiamano city-pop. Per la modica cifra di mille euro al mese sui Navigli. Spazi piccoli perché si vive all’esterno. Con i servizi – pulizie, lavanderia, parcheggio, cantina, palestra, spazi comuni, car sharing, monopattini elettrici – in condivisione. Come del resto la postazione di lavoro nei coworking per freelance. Per molti segmento remunerativo del mercato real estate. Sarà. Ci puntano WeWork e Covivio. Ma la più famosa fra le società italiane, la pluripremiata Talent Garden – start-up fondata da Davide Dattoli e con azionisti come Dompé, Angelini, Intesa Sanpaolo, manager delle start-up e fiduciarie – nel 2019 pre-pandemia perdeva 6 milioni. Chissà che botta il bilancio 2020, figlio di lockdown e distanziamento sociale.
“Non abbiate paura”, scrive ai colleghi il presidente e fondatore del think-tank Scenari Immobiliari, Mario Breglia, all’inizio del Covid. Per Breglia “aver vissuto per settimane in case vecchie o senza balconi, cambierà le prospettive di investimento della famiglia. Piuttosto che il nuovo modello di Suv, meglio una casa con una stanza in più”. La morale? Casa che vuoi, esperto che trovi. Così orientarsi nei dati del mercato real estate diventa un test di logica.
Ma il 2020 si è chiuso con un calo generale delle compravendite: sono passate di mano circa 558 mila abitazioni, 46 mila in meno (-8%) rispetto al 2019, interrompendo l’aumento degli scambi che proseguiva dal 2014 con un tasso di crescita medio annuo del 7,5%. La superficie media delle case vendute è stata di 107,5 metri quadrati, in crescita di 1,3 sul 2019. Il valore delle vendite è ammontato a poco più di 89 miliardi, in calo di 8,5 miliardi (-8,7%) su base annua e concentrato per il 58% al Nord. La pandemia ha segnato l’andamento dei prezzi delle case: a fronte del reddito disponibile delle famiglie calato del 3% per effetto della recessione, il prezzo delle case nel primo semestre era cresciuto in media del +4% per poi calare del -2,2% nella seconda metà dell’anno.
Per Unioncamere e Ance Lombardia il settore costruzioni ha chiuso il 2020 con un rosso del 5,7%, ma è già in pieno recupero con un incremento del 5% sui volumi pre-Covid. Salgono i prezzi medi richiesti per le abitazioni in vendita in Italia: +0,9% nel primo semestre 2021 secondo l’Osservatorio di Immobiliare.it.
Milano è la città più cara d’Italia con una media di 4.831 euro al metro quadrato e una crescita del 2,3%. Davanti a Firenze che apre l’anno con un trend negativo e a Roma (+0,5%). Tutti scommettono sul capoluogo lombardo. “Il mercato immobiliare di Milano regge all’urto della pandemia” (23 aprile 2021, EuroMilano, società di sviluppo immobiliare). “Milano: il mercato immobiliare tiene, nonostante il Covid” (4 marzo 2021, MutuiOnline). Secondo Idealista.it, l’evoluzione dei prezzi delle case in vendita mostra dei picchi inspiegabili: +31,2% in zona Cermenate, +17% a Corvetto e Rogoredo e il +20% in Certosa. Non è chiaro come sia possibile che questo avvenga nella città più colpita di un Paese il cui Pil segna -10% con un milione di occupati in meno, dove l’Agenzia delle Entrate nel report del 20 maggio 2021 segnala che c’è il calo di transazioni e compravendite più elevato d’Italia, -17,6%, davanti a Bologna e Firenze.
La legge della domanda e dell’offerta non funziona più? Funziona. Ma solo se si considera il “nuovo”. Dalla nota metodologica dello studio condotto dal portale spagnolo Idealista, si scopre che sono state scartate dalla ricerca le case in vendita da troppo tempo. Perché fanno parte del “mercato anomalo”. Tradotto: non vengono vendute, i prezzi scendono. Non è buono per gli affari.
L’importante è non fermare la giostra. Così la misura sui mutui agli under 36 del premier Mario Draghi spinge il mercato ma agli operatori non piacciono i limiti di 40 mila euro di Isee per potervi accedere. Il super bonus 110%? Traina il mercato ma bisogna snellire la burocrazia. Il mercato crea opportunità di rendimento anche nel disastro di pandemia e crisi economica. Gli studenti in fuga delle università vogliono poter continuare a svolgere gli esami a distanza tagliando i costi d’affitto? Serve lo student housing. A cui il Recovery plan del governo Draghi tende la mano: cofinanziamento dello Stato al 50%; primi tre anni di retta pagati dal pubblico; tassazione agevolata – quella dell’edilizia sociale – per strutture dove una stanza può costare anche 800 euro al mese.
Allora chi piange? Negozi e hotel. Gli investimenti di questi ultimi segnano -76% dopo l’anno d’oro 2019. Chi invece brinda alle trasformazioni pandemiche sono le logistiche. Non solo magazzini lungo le autostrade e infrastrutture dei trasporti: ora le frontiere sono il last mile (ultimo miglio) e la versione aggiornata del last touch, con i micro-hub dentro le città per la consegna delle merci al cliente finale. Se secondo Colliers, solo la logistica nel 2020 ha aumentato i volumi mentre il totale, con 8 miliardi, è inferiore del 33% rispetto al 2019 e il più basso (di poco) degli ultimi 6 anni.