Corriere della Sera, 11 luglio 2021
In morte di Esther Béjarano
La musica è stata la sua vita. La musica le aveva salvato la vita. La musica l’ha tenuta in vita fino a 96 anni. Esther Béjarano è morta ieri ad Amburgo, al termine di un viaggio terribile e straordinario, che l’ha vista sopravvivere all’inferno di Auschwitz. «Sono stata fortunata», mi aveva detto un anno e mezzo fa, accogliendomi nel suo appartamento caldo come un abbraccio, pieno zeppo di cose, quadri, mobili, libri, spartiti, strumenti musicali, ninnoli e soprattutto tante fotografie. Per lei, ebrea-tedesca che aveva avuto i genitori e la sorella trucidati dai nazisti, la fortuna era stata quella di «essere sopravvissuta per poter raccontare quello che è successo». Ad Auschwitz, dove arrivò nell’aprile 1943, si era salvata solo perché sapeva suonare la fisarmonica. Sulla rampa di Birkenau, Esther insieme all’orchestrina accoglieva a tempo di musica i nuovi deportati. Ricordava bene il medico capo, il dottor Mengele, impassibile lungo il binario, che, come Minosse con la coda, decideva il destino di ognuno con un semplice movimento della mano: «Era una pressione terribile per noi: quando le persone ci passavano accanto, dirette alle camere a gas, sicuramente pensavano che in un posto dove veniva suonata della musica non doveva essere così orribile». Ha testimoniato fino all’ultimo, Esther Béjarano. Alla sua maniera. Cantando. Prima in una band con i suoi figli, Edna e Joram. Poi con i Microphone Mafia, due musicisti rap, uno di origine turca, l’altro italiana, girando in Germania e in mezza Europa, visitando scuole e centri sociali, esibendosi in teatri e piazze. Dopo l’emigrazione in Palestina alla fine della guerra e il ritorno in Germania nel 1956, ci aveva messo decenni per trovare la forza e la voce per ricordare l’indicibile. Ma quando venti anni fa c’era riuscita, non aveva più smesso di cantare. Nel 2013, con un’amica italiana, Antonella Romeo, aveva raccontato in un bel libro le «svolte brusche» e le tragedie della sua vita. Soprattutto negli ultimi anni, Esther era molto preoccupata dal risorgente antisemitismo: «Dopo il 1945 – mi disse – la Germania non ha fatto alcuna denazificazione. Ci fu silenzio. Non fu fatta luce sui criminali, solo negli anni 70 si è cominciato a parlare di Olocausto, grazie a un film americano. E questa è la ragione per cui oggi ci sono tanti neonazisti in giro. L’antisemitismo è in aumento: attacchi, aggressioni. Per questo io canto e vado nelle scuole a testimoniare ciò che ho vissuto». Requiem per «la ragazza con la fisarmonica».