la Repubblica, 11 luglio 2021
Ritratto di Boris Johnson (che si sacrifica per la causa)
Alexander Boris de Pfeffel Johnson, in arte Bojo, è un aristocratico cosmopolita: la sua famiglia ha radici inglesi, turche, russe, francesi, tedesche, ebraiche. È diplomato a Eton, laureato a Oxford, cresciuto a Chelsea, nel quartiere più ricco e più snob di Londra. Come quasi tutti gli inglesi delle classi alte non si è mai interessato di calcio, sport popolare per eccellenza.
Prima di darsi alla politica è stato una firma importante del giornalismo conservatore, scrivendo su testate di buona tradizione. Se avete presenti il Sun e gli altri tabloid popolari con i titoli cubitali e le tette di fuori, i pub con le freccette, i boccali di birra, la Londra dei suburbi, gli hooligan che cantano a torso nudo, beh: Boris Johnson incarna l’esatto contrario.
Ma Bojo è anche diventato, strada facendo, uno dei più influenti leader nazional-populisti del mondo. Così è la vita: ti ritrovi a cavalcioni di qualcosa che non avresti mai immaginato.
Ed è stato il primo artefice di Brexit, puntando le sue carte migliori non sui conti effettivi con l’Europa – anche perché gli davano torto – ma sul nazionalismo, sui mal di pancia, sull’ostilità per gli stranieri, ottenendo forte credito nelle curve degli stadi, meno nei circoli intellettuali e negli ambienti “mondialisti” nei quali era cresciuto.
E dunque, se lo vedete sventolare bandierine inglesi, e pavesare Downing Street come se fosse la casa di un capo ultras, e farsi ritrarre con la maglia della Nazionale (extralarge, perché tende al robusto), sbracciarsi allo stadio, è perché Bojo ha un grande senso del dovere.
Gli tocca recitare una parte e la recita. Non è per niente credibile, anzi è piuttosto ridicolo: come se Draghi o Mattarella partecipassero ai cori di piazza. Ma si sacrifica per la causa.