la Repubblica, 11 luglio 2021
Da Napoli a Catania Ecco le capitali dei processi lumaca
Del torpore dei nostri procedimenti soffre, complessivamente, tutto il sistema. Come sa bene la Cedu che ha martellato l’Italia con 1202 condanne per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, Paese maglia nera in Europa. Ma la riforma Cartabia spinge ora definitivamente allo scoperto i casi limite e le “capitali” della giustizia lumaca, in particolare del settore penale. Che sono “solo” 7 distretti su 29, un quarto del sistema, certo non tutto: ma si tratta di cittadelle giudiziarie, in buona parte concentrati al sud, a parte Roma e Venezia, dove la lentezza è frutto anche di piante organiche inadeguate, di antiche carenze di cancellieri, di maxi processi (per corruzione e criminalità organizzata) o di giudizi complessi con imputati detenuti. Uffici lasciati deragliare da tempo.
Basta dare uno sguardo ai dati: Napoli offre il picco, con un processo di appello che dura più di 5 anni e mezzo. È la situazione limite e non a caso è prevista il 20 luglio, nella Torre al centro direzionale, la visita della Guardasigill. Che affronterà il tema cui tiene molto: l’Ufficio del processo.
Seguono Reggio Calabria, con 4 anni e mezzo di durata. E poi Catania, Roma e Lecce, che si attestano sui 3 anni e mezzo, e infine Sassari e Venezia, dove un appello si definisce in quasi tre anni.
Giustizia a distinte risorse e velocità. Così si scoprono «sproporzioni, contraddizioni, schizofrenie di scelte passate su cui occorrerrebbe intervenire con misure dedicate», sottolineano dai Palazzi di Giustizia più scoperti. Ma i punti di vista sono inevitabilmente molto diversi.
Vista da Milano, dove un giudizio di secondo grado nel penale dura in media 335 giorni, e quindi nettamente al di sotto dei due anni oggi decretati dalla nuova norma, la riforma Cartabia è una strada che porta più o meno speditamente lontano dal tunnel.
«La giustizia italiana in tutte le sue articolazioni dovrebbe cogliere quest’occasione unica, può contare su risorse davvero inimmaginabili fino a poco tempo fa: si possono segnare traguardi che non immaginavamo neppure. Ma naturalmente bisogna implementare subito il numero di cancellerie e magistrati, e far decollare l’Ufficio del processo», spiega a Repubblica Giovanni Canzio, fino al 2017 Primo presidente della Corte di Cassazione e già presidente della Corte d’Appello di Milano dove mise a segno una riorganizzazione che diede risultati.
Oggi Canzio è notoriamente grande estimatore della “missione” in capo alla titolare della Giustizia. «Un lavoro difficile, quello della ministra – aggiunge – al quale magistratura ed avvocatura dovrebbero portare il loro lucido contributo». Aprire letteralmente gli armadi, dice. «Ora o mai più. E quello che feci anche a L’Aquila. Dissi vengo con voi, apriamoli insieme questi armadi, Ma è evidente che conta molto negli uffici la scelta di figure che abbiano spiccati profili organizzativi e manageriali».
Poi c’è la questione di carenze stratificate. A Catania, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, la presidente pro tempore Domenica Motta, citando le gravi carenze di magistrati e amministrativi, ha parlato di «ordinaria emergenza».
E tutte le contraddizioni del sistema sembrano incarnarsi a Napoli: dove i giorni della durata media del processo di appello toccano quota 2.031 (più di cinque anni e mezzo) e dove sono 57mila i processi pendenti che rischiano di essere cancellati per effetto del decreto legislativo approvato dal governo. La realtà presenta il pesante conto. Al punto che il presidente di Corte di Appello, Giuseppe De Carolis di Prossedi, disegna con chiarezza una sorta di roulette russa. «Rispetto alle cifre drammatiche note a tutti da qualche decennio dell’imbuto napoletano, ora devo scegliere». Cosa? «Tra due estremi: faccio i processi nuovi, abbasso il disposition time come mi chiede la nuova norma ed evito l’improcedibilità? Oppure mi occupo dei vecchi, scongiuro le prescrizioni, facendo però aumentare il tempo di disposizione dei giudizi? E chi deciderà? Il singolo giudice? il caso?». Aggiunge: «Abbiamo solo 16 collegi sui 18 che sono previsti, i posti non si coprono, i giudici preferiscono non venire all’Appello penale perché a differenza di prima non ti dà un titolo in più. Né il Csm con cui avevo affrontato la questione ha pensato a incentivare questo passaggio». Arriveranno però risorse: a cominciare dai 20 cancellieri che Napoli attendeva da anni. De Carolis allarga le braccia. «Nuovo personale anche in Procura, la più grande d’Italia, bene: ma se la produttività lì sale, e in Appello non abbiamo personale sufficiente, tutto resta al palo. L’imbuto non smetterà mai di creare danni e ritardi. Forse potevamo essere consultati».