Il Sole 24 Ore, 11 luglio 2021
Il G20 dà il via libera alla minimum tax
L’obiettivo è avere le nuove regole di contrasto al dumping fiscale entro il 2023. Due anni per dare attuazione a un’intesa storica, come ha ribadito ieri il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz a Venezia, poche ore prima del comunicato finale del G20 dei ministri dell’Economia e dei banchieri centrali. Una «rivoluzione», secondo il francese Bruno Le Maire, con la quale i Venti Grandi recepiscono l’intesa raggiunta il 1° luglio in sede Ocse sulla tassa minima globale del 15% sui redditi delle multinazionali e sulla ridistribuzione della competenza a tassare i gruppi più grandi. A partire dai colossi del digitale come Google o Facebook, che «finalmente pagheranno la loro giusta quota di tasse», ha aggiunto Le Maire.
Una stretta alla corsa al ribasso nella concorrenza fiscale e alla ricerca del Paese dove si pagano meno tasse, che «ha sottratto a tutti noi risorse per investire nelle nostre popolazioni, nella nostra forza lavoro e nelle nostre infrastrutture», ha detto la segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen.
Dopo l’ok dato dal G20 a presidenza italiana, restano da definire i dettagli tecnici entro il summit dei capi di Stato e di Governo di ottobre a Roma. Soprattutto resta da persuadere il piccolo gruppo di Paesi coinvolti nel negoziato Ocse che ancora puntano i piedi. Tra loro ci sono Irlanda, Estonia e Ungheria, caldamente invitati ad allinearsi. Le Maire si mostra convinto: «Indietro non si torna».
Anche gli Stati Uniti avranno i loro compiti a casa da fare. La Casa Bianca, impegnata in una difficile partita sul fronte interno per riformare il proprio Fisco, deve ottenere il sostegno del Congresso. Washington vede l’aliquota del 15% come una base di partenza. Anche Parigi e Berlino continuano a spingere per una soglia più elevata.
La global minimum tax, che secondo l’Ocse potrebbe generare 150 miliardi di euro l’anno di gettito, è solo uno dei due pilastri dell’intesa. L’altro prevede la ridistribuzione della competenza a tassare i profitti di circa 100 multinazionali con fatturato oltre i 20 miliardi di dollari, in modo da spostare il prelievo nei Paesi dove i grandi gruppi fanno incassi. L’accordo Ocse parla di una quota pari al 20-30% della redditività che eccede una soglia del 10%. Attualmente, i Venti sono attestati sul valore più basso della forchetta (20%). Ancora una volta è Parigi a spingere per alzare l’asticella: «Penso che la soluzione migliore sia il 25%», ha detto Le Maire. L’Ocse stima che questo meccanismo potrebbe ridistribuire prelievo fiscale su circa 100 miliardi di euro l’anno.
Stati Uniti e Unione Europea devono poi risolvere la questione delle web tax. L’accordo Ocse prevede che siano eliminate. Washington le considera discriminatorie e ne chiede la revoca prima che il Congresso inizi a esaminare l’intesa. Parigi preferisce attendere che l’accordo entri in vigore. E la Commissione Ue procede con la propria separata proposta di tassazione dei servizi digitali, sicura che non incida sull’intesa appena raggiunta. Domani Yellen incontrerà i ministri dell’Eurogruppo.
Il G20 di Venezia segna anche un altro momento significativo, questa volta sul clima: per la prima volta, un comunicato finale riconosce il «carbon pricing» tra gli strumenti utilizzabili nella lotta al surriscaldamento globale. L’Europa ne fa una bandiera e insiste per convincere i partner a introdurre una soglia minima globale per il prezzo delle emissioni di anidride carbonica. «Abbiamo spinto molto per riuscire a inserire le parole carbon pricing nel comunicato», ha affermato Le Maire. Il meccanismo è adottato già in circa 60 Paesi e amministrazioni locali, compresa la Ue, che si prepara a potenziare il proprio.
Sullo sfondo resta la preoccupazione per la diffusione delle varianti del Covid-19, che combinata all’iniqua distribuzione dei vaccini nel mondo, minaccia la ripresa e rischia di penalizzare sempre di più i Paesi poveri, già in difficoltà. Sul punto, il comunicato finale non va molto oltre l’appello alla condivisione dei vaccini e a sostenere il piano da 50 miliardi di dollari messo a punto da Fmi, Banca mondiale, Wto e Oms. Mentre l’Fmi continua a chiedere ai Grandi di impegnarsi a ridistribuire a favore dei Paesi poveri 100 dei 650 miliardi di dollari di diritti speciali di prelievo che si prepara a emettere.