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 2021  luglio 11 Domenica calendario

Biografia di Pino Strabioli raccontata da lui stesso

Paolo Poli alle prese con gli scocciatori, Franca Valeri con il suo desiderio assoluto di vivere. Paolo Villaggio e le crisi di fame (“ero complice delle bugie alla moglie per evitare le diete”); Patty Pravo, Ornella Vanoni o Gabriella Ferri (“a 18 o 19 anni le ho citofonato e sono salito a casa sua, dietro Campo de’ Fiori. L’ho conosciuta così”).
Pino Strabioli è come uno spettatore in prima fila che un giorno viene invitato sul palco per vedere meglio lo spettacolo, e da lì ammira, annusa, capisce, sintetizza, fa propri i segreti dei più grandi artisti, e li custodisce per tramandarli ai posteri.
Ora è in scena a Roma con un monologo dedicato proprio a Paolo Poli, mentre ad agosto sarà su Rai3 con Maurizio Costanzo con Io li conoscevo bene: quattro serate per raccontare Villaggio, Vaime, Mastroianni e Bene.
C’è chi l’ha definita “tele-Inps”.
Forse la mia è una patologia, ma credo nel valore della memoria: non ci rendiamo conto dei buchi neri lasciati da certe persone quando se ne vanno, ultima Raffaella Carrà, ma nel 2020 sono morti anche Gigi Proietti e Franca Valeri. Con Franca mi manca un pezzo di quotidianità.
Il suo segreto davanti a questi maestri…
Conosco la storia del Novecento, e se uno di loro cita un nome, non sto lì a chiedergli chi è? Tipo Ermete Zacconi, Alfredo Bianchini o Alberto Moravia. Secondo Poli abbiamo il vizio della rimozione, e noi dobbiamo combatterlo.
Pilastri della cultura…
Quando sono scomparse Milva e Carla Fracci, le uniche interviste recenti erano le mie trasmesse sulla Rai.
Di Gabriella Ferri non si parla più.
Peggio con Laura Betti.
L’artista vive con angoscia l’oblio?
Anna Proclemer, negli ultimi anni di vita, si sentiva completamente spaesata, estranea, ma in generale non fanno troppo i conti con il dopo; (ci pensa) Franca Valeri una sera a cena mi gelò: “Non ho alcuna voglia di morire, sono aggrappata alla vita”. E io: “Sei eterna”. A quel punto prese una piccola pausa, poi mi guardò: “Forse. Ma io non ci sarò”. Vuole la traduzione empatica?
Magari…
Il sottotitolo era: “Che cazzo me ne frega, io voglio esserci”.
Pratica e dissacrante.
Lei viveva sul palco, il palco era la sua casa; (cambia tono) sono felice perché dopo l’appello di Maurizio Costanzo e il mio, Virginia Raggi ha deciso di intitolare il Teatro Valle (di Roma) a Franca, ed è un modo giusto di mantenere la memoria.
Il primo segnale di questa sua necessità…
Da bambino guardavo la televisione e volevo capire, desideravo sapere cosa c’era dietro lo schermo, chi era quella persona davanti a me; stessa sensazione provata anni dopo quando ho iniziato a uscire la sera per andare a teatro.
E così…
Nel 1982 partii da Orvieto, destinazione Roma, per sostenere l’esame di ammissione all’Accademia di Arte Drammatica. Bocciato.
Dolore.
Aldo Trionfo fece benissimo: allora ero solo un ragazzetto supponente con la cresta in testa; mi presentai davanti la commissione con un pezzo tratto da Il diavolo e il buon Dio (opera teatrale di Sartre) e dimostrai la mia ignoranza; Trionfo mi chiese: “Sa chi l’ha portato in scena?”. “So solo che mi piace”. E poi non soddisfatto della figuraccia recitai A Silvia mimando una sega.
Contento Leopardi.
Mi sentivo punk, così mentre declamavo “d’in su i veroni del paterno ostello porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce”, partiva il gesto della masturbazione; dopo il “no” me ne andai al Piper per una delle mie performance dedicate a Gené: mi buttavo a terra con la vernice in faccia.
Intraprendente.
In questo sì, come quando decisi di conoscere Gabriella Ferri: avevo 18 o 19 anni e, tramite un’amica, scopro che viveva a Campo de’ Fiori; arrivo sotto casa sua, citofono, apre, salgo.
Semplice.
La trovo di spalle mentre mangia una scatoletta di tonno. Si gira. Vede le mie bretelle e da brava romana mi apostrofa con un soprannome “A stracchalé. (in romano gli straccali sono le bretelle) Che voi da me?”.
Perché la Ferri?
Per lei avevo un’attrazione assoluta. Ero pazzo del suo essere maschio-femmina con la bombetta in testa; (ci pensa) mentre da Poli ci andai come collaboratore de L’Unità, gli chiesi un’intervista.
E?
Mi fece entrare nel camerino e iniziò a pormi domande: “Cosa vuoi fare?” “L’attore, ma sono anche iscritto a Lettere, sto preparando un esame su Pascoli”. A quel punto mi regalò una lezione divina sullo stesso Pascoli, per poi interrompere quel flusso di letteratura classica con un “basta, ora parliamo di Moana Pozzi”. E mi descrisse la trama di un porno, con lei nei panni della psicologa che curava i “pazienti dal basso”. Io folle di gioia.
Guardava i porno?
Si divertiva a sconvolgere; una volta eravamo in tournée e venne una giornalista un po’ saputella: ogni sua domanda prevedeva un giudizio di fondo, della serie “lei che è omosessuale”, “lei che si veste da donna”, “lei che vive in una condizione particolare”; alla fine arrivò a chiedergli “maestro ma lei, nonostante tutto, è mai stato felice?”. E Paolo: “La felicità non esiste, sereno a volte. Sa che le dico? Io sono Serenella”. E le ha sbattuto la porta in faccia.
Accanto a Poli cosa ha imparato?
Il distacco dalle convenzioni e dai compromessi; (sorride) Paolo odiava le cene con i direttori dei teatri, ma una volta, vicino Parma, siamo stati costretti ad accettare l’invito del presidente di un gruppo bancario. Costui si presentò con una moglie biondiccia, avvizzita, ingioiellata e rifatta. Paolo nella prima parte della serata parlò del Parmigianino, di Busseto, di Verdi, con la tavolata incantata dalla tanta cultura; poi, dopo due bicchieri di vino, lo assalì la noia, e a quel punto guardò la moglie del banchiere: “Signora, alla nostra età e ridotte così, chi ce lo mozzica più il culo”. Ho sputato quello che avevo in bocca e riso come un pazzo.
Niente imbarazzo. 
Sono attratto dalle persone che hanno il coraggio di osare lì dove avrei voluto osare io; non a caso i miei amici sono e sono stati Paolo, Franca Valeri e Patty Pravo.
La Valeri come Poli?
Franca nelle situazioni di fastidio resisteva, resisteva, poi sistemava la persona; (ride forte) eravamo in un locale, si avvicina una signora e attacca una pippa infinita, infiniti complimenti e infinito cianciare. Franca in silenzio con accanto a sé il suo cagnolino. Il cagnolino a un certo punto fa la pipì sui piedi scoperti della signora, aveva i sandali, e Franca, con un tempo teatrale perfetto, guarda il cane, guarda lei, e chiosa: “Finalmente”.
Lei è lo spettatore in prima fila.
Sì, ed è un privilegio che mi sono guadagnato.
Non si è bruciato ad avvicinarsi troppo ai suoi miti?
Nella vita privata mai, lì non devono dimostrare nulla, si mettono al tuo livello e ti arricchiscono; al massimo qualche scottatura è arrivata sul palco: in scena so di andare in ombra, di mettermi in secondo piano, però mi piace guardarli. E mi è successo con Paolo, con Franca e con Villaggio.
Sul palco con Poli.
Non era facile, ero terrorizzato, e Paolo, come Gigi Proietti, è stato l’ultimo dei capocomici; tanto nella vita ti permetteva di ridere e godere, tanto sul palcoscenico chiedeva disciplina e attenzione a livello millimetrico: non ti potevi spostare di un passo. Ed è stata la mia vera accademia; (cambia tono) a Milano, alla trecentesima replica, ho avuto un vuoto di memoria.
Il terrore degli attori.
Non capivo più dove fossi, tanto da finire dal medico perché mi era arrivata l’ansia da memoria e da palcoscenico. Mi ha aiutato Paolo.
E con Villaggio?
Persona assolutamente imprevedibile: ci incontravamo di pomeriggio a casa sua, provavamo a scrivere e, puntualmente, in scena, non rispettava nulla, recitava a braccio, anzi a volte sparava una frase assurda tipo “detesto madre Teresa di Calcutta”, poi usciva di scena per andare in bagno. Io restavo solo, imbarazzato, con il problema di come proseguire. Però era un uomo profondamente tenero e incredibilmente intelligente.
Bugiardo.
Bugiardissimo: alla moglie raccontava che avevamo una serata, e non era vero: la balla serviva per sederci a un ristorante ed evitare la dieta. Quanto mangiava. Di tutti gli spettacoli dichiarati alla famiglia, quelli veri saranno stati meno della metà.
Proprio al ristorante ha realizzato un libro con Poli…
E non voleva, sosteneva che era già stata scritta la Divina Commedia o Madame Bovary; quando mi sedevo a tavolo con lui, non voleva vedere il registratore, gli dava fastidio, così dovevo ordinare una salvietta in più per coprire il “misfatto”.
Pupi Avati e Bruno Voglino definiscono l’artista come un bambino in cerca di sicurezze.
Sono dei bambini furbi, smaliziati, addestrati alla vita; forse l’artista più bambino è Piera Degli Esposti, in lei c’è un lato bisognoso di protezione, rassicurazione e tenerezza; Poli era un bambino cattivo, Franca una bambina lucidissima, Nicoletta (Patty Pravo) invece azzera il tempo, non si riesce a collocarla: è un’adolescente sfrontata e desiderosa di sperimentare. (ci ripensa) Ornella Vanoni è bambina.
Anche lei amica.
Mi piacerebbe, è una persona incredibile, ma ci conosciamo meno; però mi ha regalato una chicca: è venuta in trasmissione da me e ha svelato di farsi ancora le canne e di desiderare una badante che gli rolli gli spinelli.
Il suo rapporto con le droghe?
(Ride) Di proiezione: ho preferito frequentare le persone che ne fanno uso piuttosto che farmi. Ovvio, escludo i citati…
Ovvio.
Da giovane le canne me le sono fatte, ma sono un maniaco del controllo, forse ho paura di lasciarmi andare, di esplorare parti di me, o solo di sentirmi male.
Il lei di oggi e il lei ragazzo: cosa vi dite?
Quel ragazzo di Orvieto mi sta particolarmente simpatico, anche perché era in cerca di un riscatto, cresciuto con una madre un po’ depressa perché da Roma era arrivata in provincia e solo per seguire il marito poliziotto; però oggi sono diventato un po’ egoista ed egocentrico, lascio poco spazio agli affetti e alle passioni.
Sempre di più?
Penso a me stesso, e non è una questione di soldi: non guadagno molto, il teatro è un disastro dal punto di vista economico, in tv non ho ottenuto contratti milionari, ma ho la mia libertà e conosco la misura delle cose: so quanto mi basta per stare bene, per questo non andrei mai all’Isola dei famosi o al Grande Fratello.
Sicuro?
Neanche sotto tortura: mi distrugge l’idea di mostrarmi in mutande o utilizzare il bosco per i bisogni. Non mi spoglio neanche al mare.
Un suo limite?
Che oramai, per me, tutto è mediato da grandi personalità artistiche; con le persone comuni mi annoio facilmente.
Chi è lei?
(Silenzio) Questa non è facile. (Altro silenzio)
Ci vuole pensare un po’?
No, meglio subito altrimenti ci rifletto troppo e mi viene un’ossessione.
Quindi?
Uno che ha raggiunto un suo equilibrio, che si sa difendere da certi meccanismi e che ha paura di restare solo anche se non fa nulla per evitare che ciò accada.