il Fatto Quotidiano, 10 luglio 2021
La serataccia di Alvise Casellati al Festival di Spoleto
Pur di riempire la platea, l’aiutino c’è stato, eccome: un provvidenziale pacchetto concerto-cena a prezzi stracciati anche nei ristoranti a cinque stelle grazie agli amici di mammà. Ma non è bastato. Ché passi la sfortuna di un tempo un po’ così, la sfiga maxima per qualche inciampo, più di un posto rimasto comunque vuoto nonostante la promessa di un pasto da leccarsi i baffi: a mancare sono stati gli applausi e soprattutto il calore riservato dal pubblico al palco delle grandi occasioni al Festival dei Due Mondi a Spoleto in una delle date clou, almeno secondo tradizione. Insomma, giovedì sera, era atteso uno spettacolo indimenticabile, e a suo modo lo è stato. Anche se in negativo: appuntamento sotto tono, altro che crescendo verso il gran finale di domani. Causa sfiga che l’ha fatta da padrona, ma non solo quella. E così nella sempre magnifica piazza Duomo che da sola vale il biglietto, la soirée affidata all’erede maschio di Sua Presidenza Maria Elisabetta Alberti Casellati è stata un incubo. Prima di tutto per lui, il direttorissimo Alvise, messo sulla pedana più importante d’Italia per un giorno. Da dimenticare, nonostante i mille sforzi.
Ché come ha raccontato il Fatto Quotidiano da quando alcune vecchie conoscenze della augusta madre oggi sullo scranno più alto del Senato occupano posti di rilievo nelle massime istituzioni spoletine, è uscito fuori anche un podio per il figliuolo presidenziale. Che ha proposto un repertorio con sinceri fan e un pubblico però in gran parte sinceramente disorientato, molti in attesa solo del secondo turno al ristorante dove scontare il bonus accordato solo per la sua serata, quella dell’8 luglio, guarda un po’. Nella direzione artistica del Festival ha trovato uno strapuntino Ada Spadoni sposata con uno dei boss del settore dei tartufi, suocera dell’assessore al Bilancio della Regione Umbria, Paola Agabiti, e soprattutto già collega senatrice e poi consigliere politico di mammà Casellati. E così solo per il gran giorno di Alvise a Spoleto è stata messa in piedi una convenzione tra il Festival e Confcommercio con lo scontone per i posti in prima categoria e cena da quattro portate per trainare le prevendite fino all’ultimo fiacche assai: 50 euro tutto compreso, di cui 30 per stare a tavola anche in ristoranti da guida Michelin, dove normalmente a quel prezzo ci si mangia al massimo un primo e un calice di buon vino: di fronte a tale occasione ci son venuti persino da Foligno.
Alvise, va detto, s’è dato da fare sul palco che ha ospitato solo i grandissimi della musica, del balletto e del teatro: ce l’ha messa tutta anche se dopo un po’ s’è reso conto che era meglio affidarsi all’Altissimo, sordo fino ad allora al misticismo delle musiche di Gustav Holst, Giya Kancheli e del pur più noto Leonard Bernestein del suo programma. E così a un certo punto intorno alle 21 e 20 sul podio s’è fatto il segno della croce dopo che per la prima mezz’ora abbondante dalla platea non si era levato alcun applauso, mentre in compenso era cominciato a piovigginare. Ma il peggio doveva ancora venire: la colomba bianca che ha razzolato dal primo minuto sotto al tamburo, vicino ai piedi dell’organo e minacciosa a insidiare pure le scarpe lucide di ottima fattura di Casellati jr era, insomma, solo l’antipasto: in pochi minuti la voce bianca, comprensibilmente emozionata data la giovane età, ha preso un paio di stecche e ci si è messa pure l’arpa, da accordare in corso d’opera. Il vento che ha spazzato il leggio del direttore presidenziale ha fatto il resto con un capitombolo di fogli finiti in ogni dove, specie sotto al tamburone a scacciare provvisoriamente il candido ospite pennuto.
Iella nerissima come la mise di Alvise e del coro, generoso, dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Lui, il direttore, ha continuato a sbracciarsi fino all’applauso finale, liberatorio. Perché poteva finire peggio. Poteva piovere, per fortuna solo qualche goccia che non ha spento i mal di pancia dei palati raffinati abituati ai bei vecchi tempi del grandissimo Gian Carlo Menotti. “Quel gran signore ha fatto vivere per tanti anni noi spoletini su un set internazionale”, sospira il signor Antonio che non molla nonostante i tempi dei Pavarotti, dei Gigi Proietti, delle regie di Luchino Visconti siano ormai un ricordo. La serata di oggi? “Siamo quasi in chiusura del Festival che ha tutt’altra tradizione rispetto al coro di un’Accademia pur prestigiosa”, mormora qualcun altro.
Alla fine storce il naso persino la prima fila riservata ai papaveri di Confcommercio Spoleto, quelli della convenzione con super sconto che ha convinto a venire Betti e Corrado che il Festival lo conoscono bene perché ci hanno lavorato una vita. “C’è stata un’epoca in cui tutto era fatto in grande stile: abiti stupendi delle migliori sartorie di Firenze, gran lusso, il mondo ruotava intorno a Spoleto grazie a Menotti. Venivano tutti qui, persino i beatnik americani alla Allen Ginsberg. Poi, piano piano, il livello è sceso o forse siamo invecchiati noi. Quest’anno abbiamo preso i biglietti per il concerto di Casellati perché solo per questa data c’era il pacchetto concerto-cena”. Ma qualcuno invece è più che soddisfatto, come una bella dama dai capelli rossi. “Questo Festival non ve lo meritate: stasera il programma è stato coraggioso”. L’Alvise ringrazia e dispensa sorrisi, anche se non lo richiamano per il bis.