Tuttolibri, 10 luglio 2021
Cleopatra non era quella che ci hanno raccontano
«Il naso di Cleopatra: se fosse stato più corto, la faccia della terra sarebbe diversa». Diceva così Blaise Pascal. E, di certo, quello di Cleopatra non era un bel naso. Era imponente, massiccio, sgraziato: così ci appare nelle monete che raffigurano il profilo della regina d’Egitto. Ma sappiamo cosa voleva dire Pascal: Cleopatra, con il suo fascino, aveva cambiato la storia. Il suo naso, bello o brutto che fosse, aveva sedotto prima Giulio Cesare e poi Marco Antonio. E quest’ultimo, fatale amore avrebbe provocato la sconfitta dell’Egitto, ultimo regno ellenistico, e la nascita del nuovo potere imperiale di Roma, sotto il governo di Ottaviano Augusto. Dietro Pascal, ovviamente, ci sono secoli di racconti e fantasie su Cleopatra: da Orazio a Shakespeare, da Properzio a Dante (che incastona «Cleopatràs la lussuriosa» nel secondo girone dell’Inferno). La regina è diventata un personaggio quasi mitologico. E, molto spesso, un personaggio negativo: il simbolo di un fascino femminile distruttivo, pari a quello di Elena di Troia; l’incarnazione del potere demoniaco della seduzione, ammantato dal fasto esotico e perverso del dispotismo orientale.
Con un personaggio che ha segnato con tanta forza l’immaginario collettivo è, dunque, opportuno, ogni tanto, rimettere le cose al loro posto. Non che manchino i libri su Cleopatra: anzi, se ne sono pubblicati pure troppi, anche di recente. Ma l’interesse del saggio di Livia Capponi sta, oltre che nella virtù della sintesi, nella capacità di inserire il personaggio nel suo contesto. Capponi è esperta dell’Egitto ellenistico e della prima età romana. Per cui la sua Cleopatra risalta con maggiore autenticità sullo sfondo storico del regno d’Egitto: un regno affascinante e conflittuale, ricchissimo e coltissimo, con la sua leggendaria biblioteca e i suoi geniali scienziati, fondato da Tolemeo, generale di Alessandro Magno, ma al tempo stesso erede del fasto millenario dei Faraoni. Calata nel suo mondo, Cleopatra non perde fascino ma vede ridimensionata, come scrive Capponi, la sua «presunta unicità». Con la sua vocazione al lusso e all’intrigo, con le sue trame che prevedevano «l’assassinio dei congiunti o la procreazione di figli illegittimi con i politici più potenti», non era molto diversa dalle altre regine che si erano sedute prima di lei sul trono dei Tolemei. E che, spesso, portavano il suo stesso nome: «Cleopatra», ovverosia «Gloriosa per il padre».
Certo, l’unicità di Cleopatra deriva anche dalle iperboliche calunnie che la propaganda di Ottaviano riservò a lei e al suo compagno di letto e di governo Marco Antonio (il quale, a sua volta, non era certo quello sguaiato ubriacone che ci viene dipinto dalla stessa propaganda). Quando Cleopatra osò sfidare Roma, fu bollata come una spudorata che dominava i maschi e come una despota orientale che voleva asservire la libera Italia. I letterati augustei la chiamarono «mostro del destino (fatale monstrum, Orazio) o «prostituta regina» (meretrix regina, Properzio). Si sa come andò a finire. Antonio e Cleopatra furono sconfitti ad Azio, la regina si uccise facendosi mordere da un aspide, probabilmente il 10 agosto del 30 a. C. L’aspide era sacro a Iside, per cui con quel gesto Cleopatra si consegnava all’immortalità divina già riservata ai Faraoni. Ma la stravaganza del suicidio fu sfruttata anche per rimarcare la barbarica alterità della regina: per stupire il popolino romano, nel trionfo del 29 a.C., Ottaviano fece sfilare una statua di Cleopatra con un aspide attaccato al corpo.
Alla regina sopravvissero i figli avuti con Giulio Cesare e con Marco Antonio. Capponi ricostruisce anche le loro storie. La ragion di stato imponeva misure drastiche a Ottaviano, che sapeva essere non meno crudele e cinico di un despota orientale. Cesarione, il figlio di Cesare, fu ucciso mentre cercava scampo fuggendo verso l’Etiopia. Tra i figli di Antonio, invece, Alessandro Helios scomparve presto nel nulla, ed è probabile che anche la sua fine non sia stata felice. Solo la piccola Cleopatra Selene, che aveva dieci anni, rimase in vita: fu data in sposa al re Giuba di Mauretania, fedele alleato di Roma.
Cleopatra, comunque, continua ad alimentare sempre nuove fantasie. Come quella, insegnata in alcune università americane e diffusa anche da uno stravagante documentario della BBC, che la regina fosse di pelle nera, perché figlia illegittima di una cortigiana o di una schiava egizia. Per cui farla incarnare da attrici come Elizabeth Taylor sarebbe un falso storico voluto dal protervo colonialismo culturale dei bianchi. Fonti alla mano, Livia Capponi fa giustizia anche di questa ipotesi, dimostrandone l’inattendibilità. A parte il fatto che «egizio» non significa automaticamente «nero», non ci sono prove che Cleopatra fosse figlia di una donna indigena e che i suoi tratti somatici fossero diversi da quelli degli altri Tolemei, tutti originari della Macedonia. Ma anche l’improbabile «black Cleopatra» dei giorni nostri dimostra quanto sia inesauribile la leggenda della regina d’Egitto.