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 2021  luglio 10 Sabato calendario

Così Hezbollah si prende il Libano

La strada che scende verso l’incrocio fra Tabaris e Charles Malek è già intasata di auto. I benzinai della stazione Tamoil si sbracciano e urlano come ossessi per far passare l’autobotte con il rifornimento. In fila ci sono le auto scassate dei "service", i taxi collettivi, accanto a Suv enormi. Il prezzo della benzina è raddoppiato rispetto alla settimana scorsa ma resta irrisorio al cambio in nero, quattromila al litro, pari ormai a 20 centesimi di dollaro. Il problema è che puoi mettere soltanto venti litri. E per chi viaggia molto per lavoro si tratta di farsi ore di coda ogni giorno. E per chi non ha entrate in dollari la benzina, assieme a tanti altri beni primari, sta diventando inaccessibile. All’angolo c’è un capannello di gente davanti al cambista del quartiere. «Addeish al-dullar al-youm?». A quanto il dollaro oggi?, è il ritornello. Diciannovemila lire. Venti mesi fa, prima della "rivoluzione", del Covid, era ancora a 1500. Il naufragio è lento, ma i flutti della marea arrivano adesso anche i quartieri benestanti, compresi quelli cristiani. L’Electricité du Liban, l’azienda pubblica, eroga dalle due ore di luce al giorno. I generatori privati non possono sopperire, perché si surriscaldano. Di notte, dall’una alle sette, è blackout totale.
Da undici mesi il premier incaricato, il sunnita Saad Hariri, prova a formare il governo chiesto da Emmanuel Macron subito dopo l’esplosione al porto del 4 agosto. È bloccato dai veti incrociati e sta per gettare la spugna. L’influenza della Francia si sfilaccia, persino fra i cristiani. Sono soprattutto le divisioni fra le Forces libanaises, gli ex falangisti ostili a Hezbollah, e il partito del presidente Michel Aoun, filo-sciita, a impedire l’intesa. Il Libano affonda ma dal gorgo rischia di emergere un solo vincitore, il Partito di Dio, legato a doppio filo all’Iran. È quello che temono le cancellerie occidentali. Teheran è già pronta a offrire carburante gratis, con la mediazione di Hezbollah, deciso a ergersi a "salvatore" dei libanesi. In caso di accordo sul nucleare, gli iraniani avrebbero le risorse per inviare anche aiuti finanziari. Il timore è che i cristiani finiscano per cedere a queste offerte. Per questo Stati Uniti e Francia hanno avviato un’operazione anomala. Le ambasciatrici Dorothy Shea e Anne Grillo sono andate insieme a Riad, per chiedere aiuto al governo saudita. I colloqui seguono il solco del vertice a tre del 29 giugno a Matera fra Antony Blinken, Jean-Yves Le Drian e il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Fahran.
L’obiettivo è convincere Riad a fornire dollari freschi, per evitare il dilagare degli iraniani. Ieri L’Orient-le-Jour, quotidiano francofono punto di riferimento dei cattolici, titolava sull’alleanza "naturale" fra sauditi e cristiani. Persino Israele ha offerto aiuti umanitari. L’obiettivo è evitare che Hezbollah si presenti come unica forza "responsabile". Il segretario generale Hassan Nasrallah continua a ripetere che l’alleato sciita è pronto «a fornire subito petrolio e medicinali». Il Partito di Dio riceve ancora valigie di dollari dall’Iran, al ritmo di 100 milioni al mese. Nelle aree sotto la sua influenza girano più soldi. I servizi di base, come ambulatori, scuole, sono rimasti in piedi. A Dahiyeh, la banlieue sciita di Beirut, specie nei quartieri più borghesi come Ghobeiri o Safarat Kuwait, l’impressione è che la crisi morda meno. Dalla Siria già arrivano i generici prodotti in loco, e le farmacie appaiono meno spoglie che nella ricca Ashrafieh cristiana. Per questo i Paesi occidentali si mobilitano. Francia, Italia e altri hanno lanciato il programma Rrrt, orientato soprattutto alla ricostruzione dei quartieri sopra il porto, come Gemmayzeh e Mar Mikhail. Mancano però il «governo tecnico» chiesto da Macron e i dieci miliardi di finanziamenti occidentali e del Golfo già promessi quattro anni fa alla Conference des Cèdres. Il braccio di ferro continua ma è ormai chiaro che chi arriverà primo «si prenderà il Libano».