Perché ha deciso di tornare alla regia dopo tanti anni?
«Puro caso. Quando il libro di Aubenas è uscito nel 2010 l’ho trovato formidabile e mi è venuto in mente di farne un film. Aubenas ha ricevuto molte proposte, sempre respinte. Aveva paura di qualcosa che non rispettasse la realtà. Tutti hanno abbandonato l’idea tranne Binoche, che è l’ostinazione fatta donna. E un giorno Aubenas ha proposto il mio nome».
La scelta di attrici non professioniste è sua?
«Era una delle condizioni che ho messo per accettare. Mi pareva una scelta obbligata visto che sia io che Binoche siamo intellettuali, artisti borghesi. Non mi considero un grande regista ma ho capito che il film poteva funzionare nell’alchimia tra questa grande attrice e le interpreti venute dal mondo che volevano raccontare. Tre di loro sono donne delle pulizie, una lavora in un call center, un’altra è impiegata in una ditta di carne. L’unico personaggio maschile è da poco assunto in un’azienda di moquette».
Ha cambiato molto in fase di sceneggiatura?
«L’elemento di finzione l’ho introdotto sul personaggio di Aubenas, ovvero Binoche che diventa una scrittrice nel film. La sua è una posizione ambigua visto che pretende di essere qualcuno che non è. Non sto criticando il giornalismo in immersione che nel caso di Aubenas ha portato a un libro notevole, ma può essere considerato anche un’impostura. Il dilemma morale crea una suspense quasi hitchockiana. C’è un’intrusa nel gruppo e tutti vogliono capire se verrà smascherata».
Il tema della menzogna è ricorrente nei suoi libri, a cominciare da L’avversario.
«Per me non è un film sulla condizione delle donne delle pulizie o dei lavoratori precari, anche se spero di darne una rappresentazione corretta. Lo vedopiuttosto come un documentario sull’incontro tra Binoche e le altre attrici del film».
Com’è andata sul set?
«Prima abbiamo fatto sei mesi di cast e altrettanti passati in atelier. Poi un giorno è arrivata Binoche. E tutto è diventato naturale, come nel ballo quando si impara danzando. Posso dire onestamente che Juliette ha diretto gli attori almeno quanto me, non dando istruzioni ma nel modo in cui ha interagito con loro».
Non c’è anche il rischio di manipolare o illudere queste donne che ora si ritrovano sulla Croisette?
«È un rischio che esiste, ma le abbiamo avvertite che il film resterà una parentesi nella loro vita. Per ora affrontano quest’avventura mantenendo i piedi per terra».
Impossibile non pensare ai gilet gialli, alla protesta degli "invisibili" che indossavano le casacche fosforescenti per essere visti.
«Il movimento è scoppiato dopo che avevamo finito le riprese. E per me non è stata una sorpresa perché ho passato quasi due anni con persone che rappresentano questa Francia dimenticata. Molte delle donne del film sono portatrici delle stesse rivendicazioni, anche se non tutte hanno partecipato alla protesta».
Cos’ha detto Aubenas del film?
«Il film non le è dispiaciuto ma non si riconosce nel ruolo di Binoche. Lei è una giornalista sperimentata, con una deontologia, sa fino a dove può arrivare, mentre la protagonista crea un’amicizia con le persone che vuole raccontare fino a poi tradirle. Aubenas ha detto: "Non farei mai queste cazzate, non sono io". Il ruolo di Binoche è più naif, forse perché noi scrittori siamo un po’ più scemi dei giornalisti».