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 2021  luglio 10 Sabato calendario

Biografia di Carlo Fuortes

Valerio Cappelli, Corriere della SeraCarlo Fuortes era alla sua scrivania all’Opera quando è arrivata la notizia: il ministro dell’economia e delle finanze, Daniele Franco, d’intesa con il presidente del Consiglio Mario Draghi, l’ha designato come amministratore delegato della Rai. 
Romano classe 1959, origini salentine, carattere schivo, Fuortes ha staccato il cellulare ed è rimasto asserragliato nel teatro dove è stato nominato sovrintendente il 21 dicembre 2013. Laureato in Scienze statistiche ed Economiche a «La Sapienza», allievo di studiosi come Paolo Sylos Labini e Luigi Spaventa, è un manager della cultura. La sua fama di «ristrutturatore» di debiti lo portò all’Opera romana che era il carrozzone d’Italia. Aveva già risanato i debiti al Petruzzelli di Bari, poi il passaggio all’Arena che si doveva salvare dalla liquidazione. Parodiando Pulp Fiction: «Sono Fuortes e risolvo problemi». 
Dietro le sue nomine c’è il ministro Dario Franceschini. Fuortes è d’area Pd, il partito che gli ha proposto di correre come sindaco a Roma, prima di passare la palla a Gualtieri. Ma lui ha declinato. E la Rai «suona» come una nomina tecnica. Dal 2003 al 2015, dopo un anno passato al Palazzo delle Esposizioni e alle Scuderie del Quirinale, è stato amministratore delegato dell’Auditorium di Roma, formando un tandem con Bettini, il collante storico del Partito democratico a Roma, che si occupava di far decollare il Festival del cinema voluto da Veltroni (mentre Fuortes della musica pop). 
Ma il vero successo l’ha colto ora, nel «servirsi» della pandemia per un nuovo modo di proporre l’opera: dai film-opera in televisione usando la sala come scenografia, alla Galleria Borghese abbinando quadri e musica e ottenendo la prima serata su Rai 1. 
Nel 2015 aprì la stagione che è la vetrina di un anno con un’opera di Henze: «Ho messo tre titoli contemporanei in programma e mi hanno preso per matto» raccontò. È stato anche in corsa come sovrintendente alla Scala, ma venne bruciato da un consigliere di indirizzo che spese pubblicamente e con troppa enfasi il suo nome, e poi Fuortes non era una figura «popolare» per alcuni sindacati di peso. 
Arrivato all’Opera disse: «La situazione è peggiore di quanto pensassi». Fu a un passo dal licenziamento collettivo di 182 persone, tra orchestra e coro. C’era un debito stratosferico di 26 milioni, stipendi raddoppiati in tre anni dei dirigenti, «un professore d’orchestra lavorava in media 125 giorni all’anno». Si mise all’opera, cifre alla mano: «L’85,5% del bilancio del teatro, nel 2013, è stato a carico dei contribuenti, pari a 55 milioni». L’incasso dell’apertura della Scala era superiore a quello dell’intera stagione a Roma: «Cambiare in modo strutturale è un’opportunità». Risparmiò e aumentò la produttività. Revisione della pianta organica e annullamento del contratto integrativo, pari al 37% dello stipendio. O così o si chiudeva: «È l’estremo tentativo di modificare un sistema che ha privilegiato clientelismo, sprechi e deficit». 
Alla fine ha fatto dell’Opera di Roma un teatro internazionale che ha aperto le porte a registi innovatori che mai vi avevano messo piede. Chissà se ora Fuortes «mani di forbice», alzando il calice come nella Traviata, dovrà applicare la stessa terapia d’urto alla Rai.

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Lorenzo D’Albergo, la Repubblica

Una vita di sfide, missioni quasi impossibili. Un profilo trasversale ai sussulti e alle giravolte della politica romana, capace di convincere tanto il mondo dem che quello grillino. Prima di finire nella shortlist del premier Mario Draghi e guadagnarsi i gradi di amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes ha superato un lunghissimo quanto complicato test in salsa capitolina. Dal palazzo delle Esposizioni al Teatro dell’Opera, un successo.
Appassionato di lirica e jazz, laureato in scienze Statistiche ed economiche a Roma, il nuovo numero uno della Tv pubblica ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della cultura con Veltroni sindaco. La corsa del manager parte quindi da lontano. Esattamente nel 2002, quando il Campidoglio gli affida il Palazzo delle Esposizioni e le Scuderie del Quirinale. Passa un anno e Fuortes cambia: ora è a capo del neonato Auditorium. Lì resterà per 12 anni con il placet del Pd romano. L’humus politico è lo stesso che nel 2013 porterà all’elezione di Ignazio Marino.
Un nome importante nella carriera del’economista. Il chirurgo dem (e che dagli stessi dem è stato esautorato con la famosa dimissioni dei consiglieri firmate davanti al notaio) lo stima. E si capisce perché. Basta guardare i dati del Parco della Musica: l’Auditorium per numero di visitatori è dietro soltanto al Lincoln center di New York. Un buon motivo per far alzare la cornetta a Marino e contattare l’allora ministro dei Beni culturali, Massimo Bray. Il risultato della chiamata è la nomina a sovrintendente dell’Opera di Roma. Compito prestigioso, certo. Ma la strada è in salita. Di più, perché c’è un teatro da ricostruire.
Fuortes si attrezza in fretta: Alessio Vlad alla direzione artistica, Giorgio Battistelli si occupa delle sinfonie e l’étoile Eleonora Abbagnato dirige il corpo di ballo. I numeri danno ancora una volta ragione al manager: sale il numero delle rappresentazioni e con quello aumentano anche gli spettatori. Il numero di biglietti staccati nel giro di un anno, dal 2015 al 2016, dale da 189 mila a 235 mila.
Il curriculum dell’ex commissario del Petruzzelli di Bari e dell’Arena di Verona, altre medaglie, si fa sempre più ricco. E, come detto, capace di convincere ogni giunta. Walter Veltroni, Gianni Alemanno, Ignazio Marino, Virginia Raggi: non c’è sindaco che abbia avuto da ridire su Fuortes.
Figurarsi quando a Roma plana la super Traviata diretta da Sofia Coppola. I costumi sono di Valentino, disegnati da Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli. Gli applausi scroscianti fanno dimenticare gli scontri con i sindacati, il braccio di ferro sul licenziamento collettivo del coro e dell’orchestra dell’Opera. La terapia shock ha funzionato. Nella Roma dei flambus e dell’immondizia, si torna a respirare. Ora tocca alla Rai.


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Alberto Mattioli, La Stampa
Chi si somiglia si piglia. E così il premier mette la Rai nelle mani di Carlo Fuortes, nel suo campo un altro Draghi: competenza, serietà, poche parole, molti risultati. Forse gestire e magari riformare la Rai è un’impresa superiore alle umane possibilità; ma può farcela chi è riuscito nella missione altrettanto impossibile di trasformare l’Opera di Roma in un teatro di livello europeo. Oggi in Italia, di certo, il migliore.
In comune, i due hanno anche essere romani, benché atipici: niente terrazze, poco piacionismo, sorrisi q.b. Fuortes a Roma è nato nel ’59, da famiglia di origini salentine, e si è laureato in Statistica. Poi la carriera da manager della cultura: consigliere d’amministrazione del Teatro di Roma, direttore generale del Palazzo delle Esposizioni. Ma Fuortes diventa Fuortes dal 2003 al 2015, trasformando l’Auditorium Parco della musica nel polo culturale più polivalente e stimolante della capitale. Già allora, di tutto e di più: l’Orchestra di Santa Cecilia e il jazz, il Festival della Scienza e quello della Matematica, il balletto e gli spettacoli a Villa Adriana, eccetera. E ovviamente la Festa del Cinema, che assegna a Fuortes una patente di veltronismo su cui si può discutere: che sia ben visto dal Pd, non c’è dubbio, ma nemmeno che abbia potuto lavorare, e bene, sia con Alemanno che con Raggi.
Il primo approccio al magico mondo delle fondazioni liriche italiane avviene al Petruzzelli, dove Fuortes è commissario straordinario fra il ’12 e il ’13. Poi la sfida dell’Opera, il teatro più ciabattone e polveroso e inutile, con una programmazione aggiornata al 1960, un pubblico mummificato per il quale Ronconi è un pericoloso eversore e una conflittualità permanente. Fuortes diventa sovrintendente in pieno marasma sindacale, finché nell’autunno del ’14 esplode Riccardo Muti, che di fronte agli scioperi a ripetizione si dimette dall’Aida inaugurale. E qui succede l’impensabile: invece di cedere ai ricatti o di mediare a oltranza, Fuortes, sostenuto dal sindaco Marino, licenzia 182 fra orchestrali e coristi. Roba mai vista, mentre i sindacati strillano, la destra soffia sul fuoco e i giornali scrivono che, se l’Opera dev’essere una perenne replica di Prova d’orchestra di Fellini, tanto vale farci quel parcheggio di cui la città sente certamente più il bisogno. La trattativa che segue è una partita a poker; le lettere di licenziamento, il bluff vincente. Alla fine, Fuortes firma un accordo che salva i conti, permette un aumento di produttività e dice addio alle assurdità più fantasiose e costose, tipo l’indennità gommapiuma per i coristi che si erano dovuto imbottire per un allestimento firmato Botero.
La via è aperta. Il teatro rinnova repertorio, messinscene e pubblico. Ci si vedono finalmente dei giovani, non solo il generone in doppiopetto. Il sovrintendente taglia drasticamente i biglietti omaggio, in una città dove entrare "a gratis" era considerato un diritto feudale. Arrivano i registi internazionali, l’opera contemporanea, un grande direttore musicale come Daniele Gatti e prossimamente Michele Mariotti, un progetto per giovani artisti che dà belle soddisfazioni, l’opera camion che porta la musica nelle periferie più devastate. Con il Covid, è di Fuortes il progetto più innovativo: il Barbiere di Siviglia dove Mario Martone e Gatti inventano un teleRossini spiazzante, ironico, geniale. Il tutto senza proclami, gradualmente ma con decisione, metodo Draghi prima di Draghi. E con qualche sana ruffianata (paraculata, si direbbe in loco), come chiamare Sofia Coppola a fare una Traviata inutile che però riempie il teatro e fa parlare. Infatti che l’Opera di Roma funzioni se ne accorge perfino la stampa, anche quella estera.
«Ha fiuto per le persone e per i progetti. Capisce subito quali valgono davvero», racconta chi lavora con lui e che ieri sembrava assai dispiaciuto di non poterlo più fare. Beh, qualche difetto l’avrà pure... «Come tutte le persone molto veloci, talvolta è impaziente con i lenti», il che per un pachiderma stanco come la tivù di Stato non sembra il viatico migliore. Certo, la Rai è perfino più complicata di un teatro d’opera. Ma vale la pena provarci.