Il Messaggero, 9 luglio 2021
Ritratto di Matilde di Canossa
«Ti darò tante città, tanti castelli, tanti nobili palazzi, oro e argento a dismisura e soprattutto tu avrai un nome famoso, se ti renderai a me caro; e non segnarmi per audacia se per prima ti assalgo con il discorso. lecito sia al sesso maschile sia a quello femminile aspirare a una legittima unione e non fa differenza se sia l’uomo o la donna a toccare per prima la linea dell’amore, solo che raggiunga un matrimonio indissolubile». Così scrive, nel 1089 circa, l’ultraquarantenne Matilde di Canossa al futuro marito sedicenne Guelfo V di Baviera. Le nozze vengono celebrate con fasto, ma il matrimonio non viene consumato. La dama più autorevole della penisola si fa allora trovare sdraiata su una tavola, senza vestiti. «Tutto è davanti a te – gli dice – non v’è luogo ove si possa celare il maleficio».
LA DICERIA
La frase non è casuale: Matilde era stata accusata dai parenti del primo marito, Goffredo IV di Lotaringia (la Lorena francese), di avere il malocchio. Guelfo rimane di sale, lei allora lo schiaffeggia dicendo: «Vattene di qua non inquinare il regno nostro, più vile sei di un verme». Il poveretto fugge, Matilde ottiene l’annullamento e continua a regnare da sola. Dopo alterne vicende, stravince contro l’imperatore Enrico IV, che per l’ennesima volta è sceso a invadere la penisola. Nel 1111 ottiene dal suo successore Enrico V, almeno a quanto riporta il monaco Donizone, il titolo in vice regis, che ne fa una vice regina o vicaria imperiale. Muore nel 1115: per decisione di papa Urbano VIII nel 1632 le sue spoglie verranno portate prima a Castel Sant’Angelo, quindi in San Pietro. Il suo sepolcro, detto Onore e Gloria d’Italia, sarà scolpito da Gian Lorenzo Bernini.
Dama di ferro, figura chiave nella lotta per le investiture, la Grancontessa, magna comitissa, nasce probabilmente a Mantova nel 1046. Il padre, Bonifacio il Tiranno, conte di Canossa e signore della Tuscia, è rude e imperioso. La madre, Beatrice di Lotaringia, è bella, ricca e nobile: prima di Matilde ha avuto altri due figli, Federico e una femmina. I possedimenti della coppia sono sterminati, comprendono quasi tutta l’Italia centro-settentrionale (vanno da Corneto, ovvero Tarquinia, al Garda) e formano uno stato-cuscinetto fra Chiesa e Impero.
L’educazione della bambina, che cresce nel castello di Canossa sull’Appennino reggiano, è attentamente curata come la sua fede, tanto che il monaco Donizone in Vita Mathildis, scriverà: «Matilde, splendente fiaccola che arde in cuore pio». Quando lei ha sei anni il padre muore, trafitto da una freccia avvelenata; poco dopo scompaiono anche il fratellino e la sorellina. L’imperatore Enrico III la prende in ostaggio insieme a sua madre; in seguito ella torna in Italia, mentre Beatrice si risposa con Goffredo il Barbuto di Lotaringia.
IL MATRIMONIO
La bella Matilde dai capelli tizianeschi viene poi fatta maritare per ragioni di alleanze con il figlio del Barbuto, ovvero Goffredo il Gobbo. Non è un matrimonio felice; lei deve andare nelle terre dello sgraziato sposo, quindi dà alla luce una bambina che muore dopo poco. Bersaglio di mille dicerie, torna alfine in patria: il marito la insegue, cerca di farle cambiare idea, ma viene ucciso da un sicario in un momento delicato, mentre è alle latrine. Qualcuno mormora che il mandante di quella disonorevole dipartita sia proprio la sposa.
Nel 1076 muore la madre, per cui Matilde si trova a capo di immensi territori, che saranno oggetto poi di una donazione al papato (ma la questione è dibattuta). dotata di forte personalità e attitudine al comando, dalle passioni intense, animata da profonda fede, desiderosa di riformare la Chiesa, rinnovandone la purezza. In quel periodo il papa è Gregorio VII, Ildebrando di Soana: il legame fra lui e la Grancontessa è talmente forte da far nascere diverse voci. Gregorio VII ha proclamato la superiorità della Chiesa sull’Impero (in particolare, nella nomina dei vescovi) e ha ingaggiato una dura lotta contro Enrico IV, che viene scomunicato. Abbandonato dai suoi feudatari, nel gennaio 1077 questi è costretto a scendere in Italia per implorare il perdono papale. stata Matilde, insieme a Adelaide di Susa suocera di Enrico IV e margravia di Torino (nonché all’abate Ugo di Cluny), a tessere i fili della mediazione. Vestito di un saio, scalzo, il capo coperto di cenere, l’imperatore viene fatto entrare nella prima delle tre porte di cinta, poi è costretto ad attendere tre giorni nella neve e nel gelo, prima di essere ammesso nel castello.
UMILIAZIONE
Si consuma quindi la scena di riconciliazione nella quale Enrico si umilia e viene sciolto dalla scomunica. Lo scontro riprenderà, ma da questa vicenda – episodio chiave di un’epoca in cui per sopravvivere bisognava avere una tempra d’acciaio – deriva l’espressione Andare a Canossa. Matilde, e con lei Adelaide, è la vera trionfatrice: si tratta di due donne, «eroine europeiste per genealogia e italianiste per vocazione», come ha scritto Philippe Daverio, che smentiscono alcuni pregiudizi sul Medioevo e sul potere femminile.