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 2021  luglio 09 Venerdì calendario

Lina Khan, 32 anni, nuovo capo dell’Antitrust Usa, prevede che entro due anni uno dei colossi Big Tech sarà smembrato


Da meno di un mese Lina Khan, 32 anni, docente all’università di Rochester, è il nuovo capo della Federal trade commission, l’Antitrust degli Stati Uniti. Sulla sua nomina, decisa personalmente da Joe Biden, 78 anni, i primi commenti dei media italiani hanno messo l’accento sulle quote rosa della nuova amministrazione Usa. Come a dire: basta con il maschilismo di Donald Trump; ora, grazie alla vittoria del democratico Biden, le donne avranno più spazio nei posti di comando. Così Kamala Harris è la prima vicepresidente Usa donna, Janet Yellen è la prima segretaria del Tesoro in quota rosa e altrettanto dicasi per la giovane Khan all’Antitrust.
Portare avanti le quote rosa nei posti di comando è senz’altro un titolo di merito, che a Biden è giusto riconoscere. In fondo, la parità di genere e di salario è un principio che si va affermando un po’ dovunque nel mondo occidentale, e anche Mario Draghi se ne è fatto paladino in Italia, lamentando che in alcune regioni il divario salariale rispetto ai maschi è addirittura di 50 punti percentuali. L’esperienza, tuttavia, insegna che c’è modo e modo di portare avanti le quote rosa: per esempio, appena nominato segretario del Pd, Enrico Letta ha imposto al partito di sostituire i capigruppo di Camera e Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, con Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, mossa maldigerita dagli stessi gruppi piddini, delusi dal fatto che, nel dibattito politico sui temi più caldi, i contributi di Serracchiani e Malpezzi risultano non pervenuti.
Tutt’altra musica per Lisa Khan: nonostante la giovane età, gode di un solido prestigio accademico da quando, nel 2017, ha pubblicato sulla rivista Yale Law Journal un saggio intitolato «Amazon’s antitrust paradoxe» (Il paradosso antitrust di Amazon), con il quale ha rovesciato come un guanto la dottrina Bork, seguita per decenni dall’Antitrust Usa, contraria a smembrare i colossi Usa, pratica quest’ultima accantonata negli Stati Uniti dopo la rottura la rottura del monopolio AT&T negli anni Ottanta. Per Robert Bork, giurista stimato da Ronald Reagan, che tentò senza successo di farlo nominare alla Corte suprema, l’obiettivo dell’Antitrust non è di impedire che le aziende diventino troppo grandi, ma far sì che i consumatori ci guadagnino. Grazie a questa dottrina, prima le grandi banche americane, e poi i colossi Big Tech, come Amazon, Google, Facebook e Apple, hanno potuto crescere senza alcun limite, evitando la scure dell’antitrust, proprio perché forniscono ai consumatori servizi innovativi a basso prezzo o gratuiti.

Con il suo saggio su Amazon del 2017, Lisa Khan ha rimesso in discussione la dottrina Bork partendo da una osservazione molto semplice: la società di Jeff Bezos «agisce come gatekeeper, chiude il mercato a nuovi ingressi», e lo fa vendendo sotto costo pur di impedire l’arrivo sul mercato di concorrenti. Per questo, la dottrina Bork, basata sui prezzi al consumo, non è più adatta a fronteggiare i Big Tech di internet, diventati colossi pigliatutto. In quattro anni, questa tesi ha fatto strada non solo nel dibattito giuridico Usa, ma anche in quello politico, dove non sono pochi i membri del Congresso, sia democratici che repubblicani, favorevoli a frenare, o addirittura a spezzare i grandi gruppi digitali che dominano l’economia Usa, fino a condizionare le scelte politiche.
Non è un mistero che tra i favorevoli ad usare la scure antitrust sui Big Tech c’era Donald Trump, consigliato in questo da Steve Bannon, vale a dire ben prima che l’ex presidente Usa fosse cancellato da Twitter e Facebook, ai quali ha deciso ora di fare causa, oltre che a Google. Tra i democratici, a invocare la rottura dei Big Tech si è alzata più volte la voce autorevole di Nancy Pelosi, 81 anni, speaker della Camera dei rappresentanti, nemica giurata di The Donald. E ora, con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca, ecco il cambio di rotta, per certi aspetti sorprendente, in quanto segna l’abbandona della linea seguita da Barack Obama, che nei suoi otto anni alla Casa Bianca non era mai entrato in conflitto con i Big Tech, anzi li aveva sempre protetti e difesi.
Biden, allora, era il suo vice, ed era d’accordo. Ma ora le sue scelte dicono che ha cambiato idea, convinto che i colossi Big Tech abbiano raggiunto livelli di monopolio e di potere eccessivi, sconosciuti all’inizio dell’era Obama. Così, appena insediato alla Casa Bianca, ecco che Biden nomina come «special assistant» per la tecnologia e la concorrenza Tim Wu, docente alla Columbia University, noto per le denunce contro le concentrazioni monopolistiche dei Big Tech: suo il consiglio di fare a pezzi Facebook. È solo l’annuncio del nuovo corso, che diventa fattuale con la nomina di Lisa Khan a capo della Federal Trade Commission, ovvero colei che ha Amazon nel mirino da anni.
Pochi giorni fa la Khan e la Commissaria Ue antitrust, Vestager, si sono confrontate via web per un primo scambio di idee. Tema obbligato, riferisce Politico, come affrontare lo strapotere delle Big Tech. Vestager ha ricordato le cause da lei intentate contro Google, Amazon, Facebook e Apple, sanzionate con multe miliardarie. E la Khan non ha nascosto di essere favorevole all’uso dell’ascia, confermando quanto aveva detto in un’intervista poco prima della nomina: entro un paio d’anni vi è il 75% di possibilità che uno dei Big Tech sia smembrato in più società. Bezos e Amazon sono avvisati.