Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2021
Patto tra marchi storici
Tutelare e valorizzare i marchi storici italiani – raccontandone la tradizioni e i valori – ma anche promuovere concrete attività di lobby per ottenere supporto o sostegno concreto da parte delle istituzioni e contribuire così allo sviluppo delle imprese stesse.Anche l’Italia, come già la Spagna, la Germania, la Francia o il Regno Unito, adesso ha la sua Associazione dei marchi storici, l’Amsi, costituita formalmente un mese fa, ma pienamente operativa da oggi, con l’insediamento del Consiglio dei soci fondatori: Antinori, Inghirami, Conserve Italia, Gabetti, Ekaf, Benetton, Terme di Saturnia, Amaro Lucano 1894. Otto aziende appartenenti a settori tra loro molto diversi, quindi portatori di esigenze differenti, ma accomunate da un unico obiettivo: rappresentare gli interessi delle imprese che hanno contribuito nel tempo, grazie alla solidità e alla continuità aziendale dimostrata, a costruire l’immagine e il valore del made in Italy nel mondo.
Per far parte dell’Associazione, occorre essere iscritti al Registro dei Marchi storici istituito nel 2019 dal Ministero per lo Sviluppo economico. Il Registro comprende oggi circa 130-140 realtà (un numero in costante aumento), che come prerequisito fondamentale devono avere una continuità operativa negli ultimi 50 anni, con la stessa denominazione. Una continuità che di per sé vale a rappresentare la tradizione culturale e produttiva del nostro Paese, ma anche la sua capacità innovativa. E che per questo meritano di essere salvaguardate e valorizzate – è questa l’ambizione dell’Amsi – con attività di promozione e comunicazione in Italia e all’estero, ma anche strategie di collaborazione tra pubblico e privato che, sul modello di quanto fa l’associazione spagnola dei marchi storici, puntino a ottenere dal governo misure o incentivi specifici. Un po’ come accaduto con il Fondo per la salvaguardia delle imprese stanziato dal Mise l’anno scorso, che non è direttamente legato al registro, ma prevede un accesso prioritario per le aziende con marchi storici.
Del resto, osserva il presidente di Gabetti Property Solutions, Roberto Busso, «se un’azienda è riuscita a sopravvivere per 50, 70, 100 o più anni in un mercato sempre più complesso e in continua evoluzione, si tratti di alimentare, tessile o immobiliare, significa che ha una struttura e capacità produttive davvero solide, che meritano di avere qualche riconoscimento concreto per quanto ha fatto, anche in termini di ricadute sulle comunità del territorio». Tutelare i marchi storici significa infatti tutelare anche le attività produttive e il lavoro. Non a caso, fa notare Alessia Antinori, vicepresidente del gruppo omonimo, tanto il Registro quanto l’Associazione sono nati anche a seguito di casi eclatanti in cui alcuni investitori esteri hanno rilevato aziende storiche italiane, di fatto tenendosi il marchio ma interrompendo le attività produttive in Italia. Un esempio su tutti, la Pernigotti acquisita dal gruppo turco Toksoz. «In un mondo sempre più globale è importante cercare di preservare le aziende storiche in Italia, mantenendo nel nostro territorio produzione e competenze. L’Associazione nasce con questo obiettivo, valorizzare l’italianità dei nostri prodotti, che è quello che poi ci rende davvero diversi e competitivi».
Il che non significa opporsi a investimenti o acquisizioni da parte di gruppi esteri, anzi: valorizzare i brand italiani serve anche a rendere le nostre imprese più attrattive. «Le nostre azioni non saranno mirate a una difesa contro gli investitori esteri, che sarebbe anacronistica e dannosa, bensì al totale mantenimento dell’ingegno, del talento e della produzione in Italia – spiega Massimo Caputi, presidente di Terme di Saturnia –. Inoltre, l’Associazione sarà concentrata anche sulla creazione di una piattaforma trasversale di incentivi per il potenziamento delle aziende titolari dei marchi storici». Lo Statuto prevede infatti, tra i suoi obiettivi, di «costituire un’alleanza strategica pubblico-privato con gli enti pubblici preposti», tra cui Mise, Invitalia, ministero degli Esteri e agenzia Ice, Camere di commercio, «per dotare le aziende titolari di marchi storici d’Italia degli strumenti sistemici di rafforzamento patrimoniale e sviluppo necessari all’innovazione e all’internazionalizzazione, quali perni della competitività».
Un’associazione trasversale, dunque, che nelle prossime settimane si attiverà per aggregare il maggior numero possibile di marchi storici. «Il nostro obiettivo è creare un movimento che si faccia portatore dei valori dell’industria italiana: il know how, la qualità, la storia di tante piccole imprese spesso a conduzione familiare – osserva Tommaso Inghirami, responsabile marketing dell’azienda fondata dal nonno, oggi operativa nel tessile, nel vitivinicolo e nel real estate –. In questo momento storico, caratterizzato da un’economia globalizzata, molte tradizioni e competenze italiane rischiano di perdersi o di finire in mano a gruppi esteri che le portano altrove. Noi vogliamo riportare l’attenzione e l’interesse su queste competenze e sul valore dell’italianità, che nel mondo è apprezzata e ricercata».
Dello stesso avviso Francesco Vena, amministratore delegato del gruppo Amaro Lucano 1894: «In Italia abbiamo tante imprese con una storia centenaria, spesso piccole, ma molto conosciute e apprezzate anche all’estero. Ecco, io credo che questo momento storico sia propizio per riscattare, per così dire, il pesante credito che noi italiani abbiamo nei confronti di noi stessi, prima di tutto, e del resto del mondo, in termini di qualità». Si tratta cioè di concretizzare in qualche modo la credibilità e l’autorevolezza che molte nostre aziende hanno acquisito con le loro storie decennali se non centenarie. Nell’epoca delle start up, osserva Vena, si tratta di fare un’operazione opposta: «Torniamo a raccontare e valorizzare i marchi che hanno una lunga storia alle spalle, ma che al tempo stesso sono stati capaci di rinnovarsi, perseguendo obiettivi importanti come la sostenibilità o l’attenzione ai consumatori».
Nessuno chiede un trattamento speciale, precisa Vena, ma solo il giusto riconoscimento per realtà industriali solide, importanti per le comunità del territorio e per gli stakeholder.