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 2021  luglio 08 Giovedì calendario

Stati Uniti, che razza di Storia

Critical Race Theory, 1619 Project: sotto queste bandiere si combattono le nuove guerre di religione che lacerano gli Stati Uniti. Molto più che sulle riforme di Joe Biden, l’America si divide sulla nuova contesa valoriale e culturale: chi e come ha il diritto di riscrivere i manuali di storia?
La crociata di Black Lives Matter contro il razzismo ha potenti alleati nelle università, nei licei, nei giornali e nelle case editrici, dove avanza l’operazione di revisionismo storico. Dalle origini ai nostri giorni, la storia degli Stati Uniti viene reinterpretata alla luce del razzismo “sistemico, intrinseco”, dal quale sarebbe segnata questa pseudo- democrazia fin dalla nascita. La Critical Race Theory è la visione di un razzismo scolpito dentro le istituzioni; il 1619 Project fu lanciato dal New York Times per far risalire tutta la storia americana all’anno in cui arrivò la prima nave carica di schiavi.
Dalla cultura alla politica: diversi Stati del Sud o del Midwest governati dai repubblicani stanno cercando di bloccare con leggi locali questa riscrittura dei programmi scolastici e universitari. La sinistra grida alla censura; la destra denuncia l’indottrinamento e il lavaggio del cervello. È una battaglia che mobilita forze poderose da ambo le parti. Non è escluso che finisca davanti alla Corte Suprema. E già Donald Trump ha cominciato a impadronirsene per i suoi progetti di riscossa.
La Critical Race Theory, abbreviata Crt, non è recente. Le origini risalgono agli anni Settanta, è l’erede di frange ultra- radicali come il Black Power. Gli intellettuali che l’hanno diffusa rivendicano di avere adattato la lezione di Antonio Gramsci sull’egemonia culturale. La Crt esamina leggi e istituzioni, rapporti sociali e culture sotto l’angolatura esclusiva del razzismo. Quest’idea di un razzismo sistemico, scolpito nelle istituzioni, travalica l’individuo e le sue scelte. Conquistare l’eguaglianza formale per gli afroamericani davanti alla legge – come fece il movimento per i diritti civili guidato da Martin Luther King negli anni Sessanta – è inutile, perfino ipocrita. Riaffiorano temi familiari all’estremismo di sinistra di mezzo secolo fa: la critica alla «democrazia borghese» come fasulla.
Tra i seguaci della Crt c’è il movimento che si batte per le reparations, cioè risarcimenti economici da versare ai discendenti degli afroamericani che arrivarono negli Stati Uniti come schiavi. Almeno una città della California ha già approvato quei pagamenti. L’Amministrazione Biden è stata accusata da destra di fare qualcosa di simile, quando ha predisposto che alcuni sussidi anti-Covid per l’agricoltura siano riservati in precedenza ai coltivatori neri.
Il 1619 Project è recente, anche se la sua affinità con la Crt è dichiarata. È un progetto di giornalismo longform lanciato dalNew York Times nel 2019, nel 400esimo anniversario dallo sbarco in Virginia della prima nave carica di schiavi dall’Africa. Il progetto giornalistico punta a riscrivere tutta la storia degli Stati Uniti mettendo al suo centro lo schiavismo come l’evento dominante, capace di segnare tutto il resto.
A guidare l’impresa è stata la giornalista afro-americana Nikole Hannah-Jones. Vincitrice di un Pulitzer, è stata attaccata da diversi storici che l’accusano di forzature e inesattezze. Lo stesso New York Times, dopo averla difesa strenuamente, è stato costretto a ritrattare almeno un punto: la tesi secondo cui la guerra d’indipendenza dall’impero britannico sarebbe stata motivata soprattutto dalla volontà di preservare lo schiavismo. Nonostante le controversie, o forse proprio a causa di quelle, la Hannah-Jones è riuscita a ottenere “a furor di media” una cattedra alla Howard University.
La rivolta contro la teoria critica della razza e il Progetto 1619 è diventata legge in Texas, Tennessee, Idaho, Iowa e Oklahoma. Le maggioranze repubblicane nei Parlamenti locali vogliono fermare l’introduzione di quelle dottrine nei programmi delle scuole. I think tank di destra come la Heritage Foundation, gli opinionisti conservatori del Wall Street Journal, denunciano il tentativo di colpevolizzare collettivamente i bambini bianchi come «eredi di un peccato originario, portatori di una colpa razziale congenita».
Ma anche in campo democratico affiora il dissenso. Andrew Sullivan, ex direttore di The New Republic e fondatore della newsletter The Weekly Dish, è stato uno dei primi ad accusare il 1619 Project di «presentare come obiettiva una versione faziosa della storia».
Commentatori progressisti del New York Times come Bret Stephens e Ross Douthat hanno preso le distanze dal «nuovo razzismo» che vuole istigare i ragazzi bianchi al pentimento e all’espiazione in nome di una colpa “etnica” collettiva.
L’egemonia delle frange più estremiste sul movimento antirazzista scatena contro-reazioni anche nella base della sinistra. Un primo campanello d’allarme è suonato in California nel novembre 2020. Mentre una vasta maggioranza di californiani votava per mandare Biden alla Casa Bianca, veniva bocciato invece il referendum per reintrodurre la affirmative action cioè le corsie preferenziali per gli afroamericani nelle iscrizioni alle università. A New York, altra roccaforte di sinistra, gli elettori democratici hanno scelto come candidato sindaco l’ex capitano di polizia afroamericano Eric Adams. Votato soprattutto nei quartieri popolari, Adams è l’antitesi di Black Lives Matter, promette di riportare la polizia nelle zone dove la sua presenza era stata indebolita in nome dell’antirazzismo.