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 2021  luglio 08 Giovedì calendario

Livio Garzanti e il mestiere di pubblicare

Nel centenario della nascita un volume (Interlinea) raccoglie scritti e interviste. Pubblichiamo due testi inediti


I profumi dell’arte, della poesia – la poesia era più insidiosa, parlava con le stesse parole del nostro pensiero – erano i deodoranti per i miasmi della nostra vita. Se oggi i loro aliti si sono fatti flebili, perdono virtù, c’è da ben sperare per tempi migliori. La sapienza del nostro demiurgo confonde odori e sapori, tutto sembra diventare asettico, come inconsistente, quasi inesistente.
La musica la ascoltiamo ancora perché ci porta lontani, a dimenticare di esistere. Nietzsche, ubriaco di musica, faceva danzare Zaratustra oltre la vita, ma quando se ne accorse e si arrabbiò con Wagner, disse che la musica di lui – ma in grado minore avrebbe potuto dire di tutti i romantici – ti prende nella sua onda e ti fa affogare. «Ci entri, cammini, l’acqua diventa profonda, il fondo cede, non riesci a reggerti in piedi, devi abbandonarti e nuotarci dentro». Se puoi. La musica africana ti distrugge come la droga. Solo ancora, di rado, un clarinetto (…) uno squillo dal Paradiso.
In un tempo lontano e antico la musica col suo ritmo guidava la vita: per Socrate e Platone era pura armonia, quasi filosofia che dava respiro al pensiero. 
Ora non vorremmo esistere, ma non sappiamo neppure di essere. I greci sapienti non conoscevano la differenza tra essere ed esistere. Era la loro felicità. Il dolore, la luce nera della verità, non sarà più o sarà un accidente, come una lastra che si rompe per un difetto di costruzione. Ma moira forse potrà riposare. Morire senza saperlo è un sogno, ma la tecnica che da tutto ci assolve copre i nostri sogni dandoci lei quello che abbiamo sempre sognato. E così sia!
Abbiamo sognato di salire in cielo. Vi abbiamo mandato i nostri morti migliori. Poi, nel giorno del grande giubileo, dicono, vi andremo tutti, come la gente di Michelangelo a prendere legnate. Ma il grande demiurgo provvederà. Per la storia dell’umano si accenderà una nuova meraviglia quando un omino aprirà gli occhi nel buio esterno fra le stelle. E capirà tutto. 
Finalmente nel cielo avremo il nostro campo di gioco. Si progettano case sulla luna per un primo nostro futuro. Perché si possa volare sempre più su, nel cielo sempre più nero. Non mi so esprimere, ma cerco di vedere, ottuso di ottimismo come un toro al salto. 
Vorrei essere nato da un uovo, per non aver mai avuto contatto con la carne di mia madre. Nascere con la mia riserva di albume, poi una incubatrice, poi magari su un nastro trasportatore. Come loro, i polli. Ma verso le stelle, col mio ultimo verso. Sono il più grande ottimista. Se ne va via il maledetto pensiero,con la logica del diavolo e con i tormenti d’amore.

***

La critica dell’editore vive della passione dell’industria. L’editore non può lasciarsi andare alla passione personale e non può affidarsi alla disinteressata freddezza della critica dei critici, l’editore è una media fra la critica dei critici e la vita, non di sé stesso ma degli altri. Ed è soprattutto nel capire gli altri che sta il capire degli editori, sentire il pubblico vuol dire giungere oltre il gusto del pubblico. Il gusto è sempre qualche cosa di freddo, è la conseguenza di un qualche cosa di realizzato. Se l’editore segue il gusto del pubblico, giunge sempre di un minuto in ritardo (…). 
L’editore è un critico che il pubblico non conosce, un critico che non segue una sua logica rigorosa. (…) Sempre mi capita l’amico, il conoscente, l’uno che ti incontra per la prima volta e appena sa che vivi nel mondo editoriale ti affonda di domande e di consigli; sembra tanto facile quanto dar consigli e far critiche a un editore. Si iniziano forti discorsoni, e si discute, che mai si arrivi a un punto. L’editore è un industriale come tutti gli altri, deve conoscere la sua clientela e deve saperla accontentare, il libro è per l’editore un prodotto come gli altri, bisogna che piaccia e bisogna che sia ben presentato. Lanciare un libro è come lanciare un lucido da scarpe. Questa è la conclusione cui mi par di dover giungere dopo lunghe discussioni, mi sembra semplice e pure quel che mi han detto tanti librai e tanti che passano la loro vita vicino ai banchi di vendita. Poi quando si parla con i colleghi e si discute d’un libro di una collana, mi trovo spesso a fare la parte del critico più raffinato. C’è un dovere cui l’editore deve ubbidire, un dovere verso la cultura, verso la morale.