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 2021  luglio 07 Mercoledì calendario

LA nuova amazon di Bezos

A esattamente 27 anni dalla fondazione, il 5 luglio il creatore di Amazon, Jeff Bezos, ha passato la mano al suo più fedele e brillante luogotenente, Andy Jassy, dal 2016 Ceo di Amazon Web Services (Aws), la parte di Amazon che vende servizi di cloud computing e da anni con meno del 15% del fatturato totale produce metà degli utili del gruppo. Bezos diventa presidente esecutivo del consiglio di amministrazione e dichiara di volersi dedicare a migliorare le condizioni lavorative dei dipendenti o la sostenibilità ambientale e continuare a occuparsi delle invenzioni, i nuovi servizi e dispositivi in grado di fidelizzarli i clienti e farli spendere di più. Prime e Alexa sono i due esempi più clamorosi di come Amazon sia riuscita negli ultimi 10 anni a influenzare le abitudini di consumo di centinaia di milioni di famiglie.
L’azienda di Seattle ha approfittato della pandemia che ha chiuso a più riprese i negozi fisici e i centri commerciali in quasi tutto il pianeta. La “nuova normalità” pareva fatta su misura di Amazon: i ricavi sono cresciuti dal 23% del primo trimestre 2020 (l’ultimo prima del pieno impatto del Covid) al 40-45% dei trimestri successivi. A fine 2020 il fatturato ha raggiunto i 386 miliardi, 106 in più dei 280 di fine 2019 (+38%). L’incremento pone sfide enormi, come il raddoppio della superficie dei centri logistici in due anni e l’assunzione di mezzo milione di nuovi impiegati in 12 mesi. Amazon nei 12 mesi al 31 marzo scorso ha raggiunto ricavi per 419 miliardi (+41%) e di questo passo tra pochi trimestri si avvia a spodestare la sua maggior rivale Walmart come maggior multinazionale mondiale, perché il gigante dei supermarket di miliardi ne fattura 560 ma cresce “appena” del 7%. Gli utili sono in progressione ancor più impressionante: quello operativo a fine marzo nei 12 mesi della pandemia è raddoppiato (+97% a 27,8 miliardi), quello netto è addirittura triplicato (+220% a 8,7 miliardi).
Ma questa progressione e queste cifre da anni però non passano assolutamente inosservate alle autorità Antitrust e hanno già rinfocolato l’attenzione dei “cani da guardia” della concorrenza negli Usa e nell’Unione Europea, in Francia e in Germania. Non a caso, il 15 giugno, il presidente statunitense Joe Biden ha nominato alla presidenza della Commissione federale sul commercio (Ftc) Lina Khan, una delle più forti oppositrici di Amazon. Khan è autrice di uno studio pubblicato nel 2017 sulla rivista di legge di Yale, intitolato “Il paradosso Antitrust di Amazon”. Secondo la Khan, l’azienda di Seattle ha violato le leggi antitrust e va smembrata. Ecco perché pochi giorni fa Amazon ha scritto alla Ftc chiedendo la revoca della nomina della Khan, ritenuta non imparziale: “È vero che siamo grandi, ma non per questo non abbiamo diritto a essere indagati in modo imparziale”, ha scritto la multinazionale.
La tempistica dell’avvicendamento ai vertici potrebbe andare letta in questo contesto: Bezos non ha alcuna intenzione di farsi mettere sulla graticola per uno dei nodi cruciali della crescita di Amazon, l’evidente conflitto di interessi tra il ruolo di venditore al dettaglio e quello di gestore della più grande piattaforma di commercio per venditori terzi, il marketplace. Oltre due terzi delle unità spedite dal colosso di e-commerce non sono vendute da Amazon in conto proprio, ma dalla piattaforma gestita per i venditori terzi, che pagano commissioni fino al 45% del prezzo di vendita per usare i servizi di logistica. Così Amazon da anni accumula dati su oltre 2 milioni di venditori che trattano miliardi di articoli e grazie a questi dati riesce a ottimizzare la propria attività come retailer. Proprio su questo la Commissione Europea ha aperto un’indagine lo scorso novembre. Altre inchieste di Berlino e Bruxelles si concentrano sull’algoritmo che determina il vincitore della “buy-box”, il pulsante “compra ora” dal quale transitano il 90% delle vendite. Un’ultima indagine, scattata lo scorso 25 maggio negli Usa, si concentra invece sull’effetto inflattivo delle alte commissioni di vendita per i venditori terzi e delle clausole di “politiche di prezzo equo”, inserite nel contratto che i venditori firmano con Amazon che vietano di vendere su altre piattaforme (come eBay o Walmart) a prezzi inferiori a quelli praticati su Amazon, sui prezzi del segmento e-commerce nel quale Amazon domina, con una quota negli Stati Uniti tra il 50 e il 70%. La questione è centrale perché chiude il cerchio rispetto allo studio di Khan, che parlava di “politiche di prezzo predatorie” di Amazon, senza però trovare evidenza dei rincari che permettono di recuperare l’investimento iniziale sui prezzi bassi per mettere fuori mercato la concorrenza.
L’email spedita da Bezos ai dipendenti di Amazon il 2 febbraio scorso per annunciare il nuovo ruolo sembrava scritta proprio per le preoccupazioni sul fronte antitrust. Bezos enfatizzava il ruolo innovativo svolto da Amazon sin dal 1995, creando di fatto un nuovo canale di vendita e inventando servizi come Aws, e il ruolo sociale di Amazon, in particolare il salario minimo di 15 dollari applicato in azienda, il doppio del minimo legale negli Stati Uniti, e il Climate pledge, l’impegno di Amazon in favore della sostenibilità ambientale.
Non a caso, proprio il primo luglio due nuovi principi di leadership sono stati aggiunti ai 14 che costituiscono da due decenni il Dna di Amazon. Le due nuove regole sostengono “vogliamo diventare il miglior datore di lavoro al mondo” e “successo e grosse dimensioni generano ampie responsabilità”. Sono, tutt’altro che casualmente, proprio i nuovi ambiti nei quali si focalizzerà l’attenzione di Jeff Bezos nella sua posizione di presidente del consiglio di amministrazione, che in questa posizione meno visibile a livello operativo terrà sicuramente anche la regia delle risposte da dare alle autorità Antitrust di mezzo mondo.