Corriere della Sera, 7 luglio 2021
Patrioti, quanti abusi di quella parola
«Mio papà era un italiano nato sotto l’Austria-Ungheria, io sono un italiano nato sotto l’Italia, e mi son via via ritrovato jugoslavo e poi sloveno e infine croato, senza mai muovermi da questa casa a due passi dal Dragogna. Maledetta la volta che rinunciai ad andare anch’io in Italia, come la massa degli italiani dell’esodo. Lo feci per non dare un dispiacere a mio papà, convinto che il comunismo prima o poi sarebbe passato ma la nostra terra sarebbe rimasta al suo posto. Mai pentito tanto».
Trent’anni esatti dopo la nascita a fine giugno del 1991 del confine tra Slovenia e Croazia, tirato su lungo il fiume che sfocia a Pirano (prima spaccatura netta nella storia dell’Istria), pochi hanno ricordato l’erezione di quella frontiera che spezzò il cuore a Virgilio Babic stravolgendo la sua vita anche sulle cose più banali: «La casa ce l’ho da una parte, i campi dall’altra», avrebbe raccontato qualche tempo dopo, «La bolletta della luce mi arriva da Buie che è in Croazia e l’acqua da Capodistria, in Slovenia, l’ufficio tavolare è a Pirano, il catasto ancora a Capodistria... Un casino». Quanto all’ospedale, che per gli abitanti dei dintorni era sempre stato quello di Isola di Capodistria, adesso non andava più bene. E i giornali narravano episodi come quello accaduto a Duilio Visentin che, colpito da una emorragia, era stato portato da Portole, ora croata, verso Isola, ora in Slovenia: «Mio marito sta morendo». «Documenti!». «Muore!».
«Documenti!».
Il giorno che le ruspe travolsero l’orto e il frutteto di Anna Del Bello Budak a Sicciole di Portorose, il direttore del cantiere, lo sloveno Matia Potocar, rideva in faccia alla contadina sconvolta: «Frontiera? No frontiera! Solo area di sosta. Solo cestna. Capito? Ristrutturazione cestna: strada». Pochi anni e lungo il confine sarebbero state posate enormi matasse di filo spinato. Fu un disastro per la Dieta Istriana, il movimento delle Tre Caprette istriane che pareva in forte crescita e teorizzava una regione europea e autonoma a trilinguismo integrale.
Tutti «patrioti» si definivano, quanti schiacciarono sotto diverse bandiere quella speranza. E ascoltare ancora oggi l’abuso partitico e bellicoso della parola «patrioti», per chi ha conosciuto quella storia di prepotenze spacciate per amor di patria, fa venire l’orticaria.