Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 07 Mercoledì calendario

I Carter, settantacinque anni insieme

WASHINGTON Rosalynn Smith si è innamorata di Jimmy osservandolo in una fotografia, mentre si trovava a casa della sua migliore amica Ruth Carter. Il futuro presidente, invece, aveva tre anni, quando vide per la prima volta la sua futura sposa, una neonata. 
I Carter e gli Smith erano vicini di casa a Plains in Georgia. Ma Jimmy e Rosalynn si accorsero davvero uno dell’altra, mentre andavano al cinema in gruppo, strizzati sul sedile posteriore di una vecchia Ford. Jimmy era già un ufficiale della marina militare. Chiese subito alla ragazza di sposarlo. Rosalynn rispose di no, frequentava ancora l’università e aveva promesso a suo padre morente che avrebbe completato gli studi. 
Il giovane militare non si arrese. Cominciò a scriverle, a mandarle messaggi attraverso la sorella. «Alla fine cambiai idea», racconta Rosalynn. Si sposarono il 7 luglio del 1946. E ora eccoli qui, Jimmy 96 anni, Rosalynn, 93, mano nella mano nel salottino della casa che costruirono nel 1961, sempre a Plains dove i Carter gestivano un’azienda di arachidi. Si fanno ritrarre dal New York Times, mentre annunciano che festeggeranno i 75 anni di matrimonio, le «nozze di platino», con una grande festa. «Ma rispettando le misure anti-Covid naturalmente». 
Nella percezione collettiva e nella storiografia, il democratico Jimmy Carter è considerato il presidente più sbiadito del dopoguerra, insieme con Gerald Ford, l’avversario che sconfisse nelle elezioni del 1976. Quei quattro anni, dal 1977 al 1981, occupano uno spazietto grigio, tra il demoniaco Richard Nixon e lo scintillante Ronald Reagan. Eppure la sua stagione fu segnata da fatti e scelte cruciali: la rottura con l’Unione Sovietica che aveva invaso l’Afghanistan; la pace di Camp David tra Egitto e Israele. E infine, l’episodio che si rivelò fatale per le sue fortune politiche: la crisi degli ostaggi americani a Teheran. 
Anche la figura di Rosalynn sembra scolorita rispetto alla «pioniera» Eleanor Roosevelt, al fascino di Jacqueline Kennedy, alla grinta anticonformista di Betty Ford. Eppure Rosalynn è stata la prima first lady della storia a partecipare alle riunioni del governo. Negli anni della Casa Bianca condusse una lungimirante campagna a favore delle persone con disturbi mentali. Il risultato fu una legge importante, la Mental Health Systems Act. 
Jimmy e Rosalynn hanno condiviso per 75 anni l’idea della politica come impegno, anche religioso, come servizio per la comunità. «Siamo cresciuti diventando sempre più vicini, condividendo ogni cosa», racconta Jimmy al New York Times. Famiglia e vita pubblica si sono sempre mescolati. La coppia ha avuto quattro figli, John William, James Earl, Donnel Jeffrey e Amy Lynn. Oggi hanno 28 nipoti e 16 pronipoti. «L’ultima ha 3 anni e non siamo ancora riusciti ad abbracciarla», dicono. Qual è il segreto di tanta armonia? «Non andare mai a letto arrabbiati», rispondono sorridendo. Solo uno screzio, epocale, è rimasto negli annali dei Carter. Durante un viaggio in macchina Rosalynn non rivolse mai la parola al marito. Al punto da chiedere al figlio maggiore John: «Vuoi dire a tuo padre di fermarsi che dobbiamo andare in bagno?». 
Dopo anni di oblio, la cultura progressista sembra aver riscoperto il «modello Carter»: valori etici, attenzione strategica, non solo compassione, per le fasce marginali della società. Durante le primarie del 2020 i candidati democratici, da Bernie Sanders a Pete Buttigieg, sono andati in pellegrinaggio a Pains. 
Fino a poco tempo fa Jimmy, ogni domenica mattina, teneva una serie di «conversazioni» in una chiesa cittadina, la Maranatha Baptist Curch. In centinaia si mettevano in coda dalla sera prima, dormivano in macchina, pur di conquistare un posto. Il 39° presidente degli Stati Uniti alternava citazioni dal Vangelo di San Giovanni e riflessioni sulla Cina, su Donald Trump, sulle guerre («tutte non necessarie»). Ogni tanto si rivolgeva direttamente a Rosalynn, seduta sempre in prima fila: «Tu che ne pensi?».