Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 06 Martedì calendario

«Così mando una donna sulla Luna»

«Ricordo perfettamente quel professore molto anziano alla facoltà di ingegneria. Mi guardò e mi disse: ma cosa credete di fare voi donne? Dove volete andare? E si rifiutò di correggermi il compito. Dovetti implorare l’assistente per fargli capire che, se non lo avesse fatto, non avrei potuto ottenere la triennale». Sembra un racconto surreale quello di Veronica Pellegrini, 37 anni, di Roma, ex studentessa alla Sapienza, che ricopre un ruolo chiave nel team che negli Usa sta realizzando il primo tassello di «Artemis», la missione che riporterà l’uomo e (per la prima volta) una donna sulla Luna.
Pellegrini è esperta di dinamica del volo spaziale per Maxar Technologies, la società a cui la Nasa ha affidato la costruzione del Ppe, il modulo propulsivo che partirà nel 2024 e, grazie a enormi pannelli solari, fornirà energia alla futura stazione Lunar Gateway, la base orbitante per le spedizioni umane e robotiche sul satellite. 
Quando a 21 anni iniziava appena a cimentarsi con stelle, orbite e pianeti, a pioverle addosso fu il meteorite del pregiudizio di genere. Un incubo. «Non era il solo docente a pensarla così – sottolinea lei —, fortunatamente le cose sono cambiate quando mi sono iscritta alla Scuola di ingegneria aerospaziale, ovvero alla specialistica, con professori straordinari che mi hanno sostenuto moltissimo». 
In questi giorni la scienziata è in Italia, dove è potuta tornare solo ora dall’inizio della pandemia, ma la sua residenza è in California. Vive ad Orange County con il marito Simone Chesi, conosciuto all’università La Sapienza e oggi collega nella stessa azienda, e i figli Aurora, 7 anni, ed Elon, 3. «Mi sono spostata qui dopo il Covid – racconta —, prima vivevo in Silicon Valley, ma dato che adesso lavoriamo tutti da remoto abbiamo scelto una casa più grande. La mia specializzazione consiste nel progettare la missione, dalla traiettoria della navicella a tutto ciò che può influire sul suo itinerario, inclusi l’ambiente spaziale e termico e le forze di disturbo». 
Sin da piccola Veronica sognava di fare l’astronauta, poi crescendo ha capito che le interessava di più studiare ciò che esiste all’esterno dell’atmosfera e come i corpi e le forze celesti interagiscono nello Spazio. Il suo sogno, anche se l’ha costretta a emigrare dall’altra parte del mondo offrendole poche possibilità di ritorno in Italia, si è realizzato. Da bambina ha sfogliato centinaia di volte l’album del papà Achille con i ritagli di giornale sullo sbarco del primo uomo sulla Luna, il 20 luglio 1969. «Ho quasi consumato quell’album – sorride – come tutti i libri di Asimov e tanti volumi di astronomia. Ho sempre saputo che avrei fatto questo lavoro». 
Pellegrini ha realizzato il suo sogno in un momento storico magico. Se infatti è ancora presto per pensare a un insediamento umano sulla Luna, la road map è sostanzialmente già segnata. «Il primo lancio di Artemis, come è noto, sarà tra due anni, la prima donna e l’uomo seguiranno subito dopo e presto potremo avere una stazione spaziale per andare e tornare», sintetizza lei. 
A Veronica manca l’Italia, il calore dei suoi connazionali, il suo cibo genuino. «Ma non potrei mai tornare – dice con un pizzico di malinconia —. I miei ex colleghi dell’università mi raccontano di avere difficoltà a trovare lavoro e, se lo trovano, dicono di ricevere salari talmente miseri da non potersi neanche permettere una casa in affitto. Scusate, non ce la farei, ho una famiglia».