La Stampa, 6 luglio 2021
Con le Ong in mare nessun aumento di sbarchi
Il sistema di accoglienza italiano dei migranti non è sotto pressione. Le Ong non sono taxi del mare: pattugliando il Mediterraneo non spingono un maggior numero di rifugiati a partire. Il Covid è il principale responsabile dell’aumento degli sbarchi sulle nostre coste. Il sistema di Dublino? In verità favorisce l’Italia, in qualche modo. Non è retorica politica, lo dicono i numeri. Se c’è un tema su cui gli Stati hanno lottato ferocemente negli ultimi anni, spaccando l’Europa, questo tema è l’accoglienza. Un report dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), costruito per verificare l’attendibilità di molte delle convinzioni dei partiti e dell’opinione pubblica, fotografa una realtà diversa da quella che immaginiamo. E smonta così molti pregiudizi.
Il fact-checking smentisce, ad esempio, la convinzione che l’attività delle organizzazioni no-profit in mare incida sul numero di arrivi. «Dal 2014 ad oggi si vede chiaramente che questo non è vero», dice Matteo Villa, autore del dossier. Facciamo parlare le cifre: sette anni fa, quando partivano alla volta dell’Italia 150mila persone, i soccorsi in mare erano l’1%, due anni dopo il 40%, ma i profughi che si sono imbarcati dall’Africa sono stati sempre 150mila. Nel 2019, periodo di minori arrivi (11mila in un anno) le Ong hanno intercettato e salvato dalle acque pericolose del Mediterraneo il 15% dei migranti. Stessa cifra (15%) negli ultimi dodici mesi, ma i migranti arrivati sono stati quasi 50mila, cinque volte in più. Per dirla più chiaramente: con Salvini al Viminale, l’88% degli sbarchi è stato autonomo, solo nel 12% dei casi è intervenuta una Ong; con Lamorgese al Viminale, l’86% degli sbarchi è stato autonomo, solo nel 14% dei casi è intervenuta un’Ong. Le cifre rivelano anche che politiche diverse incidono drammaticamente sulla sicurezza di chi viaggia sui barconi: «La scelta dei porti chiusi ha fatto salire al 7% (tre persone e mezzo ogni 50) il rischio di morire in mare - spiega Villa -, quando fino al 2018 era al 2% (una persona ogni 50). Con Lamorgese il pericolo è tornato al 2%, nel 2021 è lievemente salito, ma facciamo fatica a capire perché».
Attualmente (aprile 2021), nelle strutture di accoglienza italiane ci sono 76mila profughi. A ottobre 2017 erano quasi 200mila. «Quando si parla di emergenza bisogna capire cosa si intende. Spesso questa narrazione ha più a che fare con la capacità di gestire i flussi dei migranti in arrivo. Mille persone che sbarcano a Lampedusa, in grado di tenerne 200, sono un problema. Mille arrivi in Italia di per sé no». I decreti sicurezza hanno cambiato le condizioni di accoglienza, eliminando il sistema diffuso degli Sprar: oggi, circa due migranti su tre sono ospitati nei Cas, grandi centri che non favoriscono integrazione e riqualificazione di chi cerca un futuro migliore. Nel frattempo, invece, si è deteriorata ancora, se possibile, la situazione di chi staziona in Libia, in attesa del sogno europeo, tra abusi di ogni tipo e privazione di ogni diritto. «L’Italia deve pensare di dover far da sola ancora a lungo - dice il ricercatore -, l’Europa non sarà solidale». Ma, paradossalmente, gli accordi di Dublino che tutti i governi italiani hanno sempre voluto cambiare, sembrano produrre una situazione non così sfavorevole per il nostro Paese: «Su 350mila richieste di riprenderci migranti sbarcati qui e fuggiti altrove, ne abbiamo evase di fatto una su 10».