Il Sole 24 Ore, 6 luglio 2021
Wall Street brucia ogni record
Oggi riparte Wall Street dopo il lungo ponte per via della Festa dell’Indipendenza. I tre principali indici della Borsa statunitense sono reduci da nuovi massimi. L’S&P 500 ha superato i 4.300 punti, il tecnologico Nasdaq è sempre più vicino alla soglia psicologica dei 15.000 punti e l’industriale Dow Jones è vicino ai 34.800 punti. Di norma è difficile tracciare previsioni in Borsa, tanto più quando i listini sono in territorio inesplorato dove perfino l’analisi tecnica si arrende in attesa che il mercato disegni nuovi supporti e resistenze.
Da inizio anno l’S&P 500 è salito del 16%, il Nasdaq del 17% e il Dow Jones del 15%. Grazie all’allungo delle ultime sedute Wall Street ha ripreso in mano la leadership tra le azioni globali sorpassando la performance delle Borse europee (Eurostoxx 50 +14,5%) che da metà giugno si sono un po’ imballate e hanno perso forza.
Gli investitori in questa fase sembrano quindi più orientati verso gli Usa che l’Europa, paradossalmente proprio dopo che la Fed ha annunciato (16 giugno) un cambio di rotta in politica monetaria, anticipando le strette monetarie (due) entro il 2023 a differenza della Bce che resta ancora fortemente espansiva. Proprio da questa notizia – che in teoria avrebbe potuto disorientare gli investitori azionari in quanto tassi in rialzo rendono più competitivo lo storico rivale delle azioni, ovvero i bond – Wall Street ha tratto nuova linfa. Questo perché c’è meno incertezza sul futuro dato che la Fed ha preso in mano la situazione per arginare un’eventuale ulteriore impennata dell’inflazione, il cui recente rialzo (5% su base annua a maggio) è a detta della banca centrale di natura transitoria e non strutturale.
Resta da capire se ai livelli attuali le valutazioni di Wall Street siano da considerarsi care e, come tali, potenzialmente pericolose. «Non esiste in assoluto un mercato azionario caro o non caro – spiega Piergiacomo Braganti, director-research di Wisdom Tree investment -. È il mercato che, di volta in volta, stabilisce i multipli più appropriati al contesto. Il più utilizzato, e semplice, è il rapporto prezzo/utili (price/earnings in inglese, ndr). Se consideriamo la media storica per l’indice S&P 500, che è pari a 16,5, in questo momento il p/u relativo agli profitti attesi per il 2021 può sembrare caro perché è a quota 23. Ma se ci spostiamo al 2022 questo multiplo scende a 17. Perché sconta attese di utili in crescita. L’importante è proprio questo ultimo punto, ovvero che le aspettative utili siano positive».
Allargando poi il contesto Wall Street sembra anche alle quotazioni attuali avere una marcia in più rispetto al mercato obbligazionario. I rendimenti dei Treasury a 2 anni sono allo 0,25% nominale (pesantemente negativi in termini reali una volta sottratto il tasso di inflazione). Poco competitivi sono anche i decennali che, dopo una fiammata in area 1,8% a fine marzo, da qualche seduta viaggiano stabilmente sotto l’1,5% nominale. «Confrontando i tassi dei Treasury con l’earning yield dell’S&P 500 (che si ricava dividendo gli utili per il prezzo delle azioni e che quindi è l’inverso del rapporto prezzo/utili, ndr) non c’è partita – prosegue Braganti -. Ipotizzando un p/u intorno a 20, abbiamo un earning yield pari al 5%. Applicando a questo tasso un payout medio (ovvero la quota di utili che viene distribuita agli azionisti, ndr) intorno al 60%, otteniamo un dividend yield intorno al 3%, circa il doppio di quanto offerto oggi dai decennali. Inoltre, mentre le grandi aziende Usa che compongono l’S&P 500 seguiranno l’andamento crescente dell’economia, il debito sembra andare incontro ad anni difficili, considerata la dipendenza dalle banche centrali».
Il clima quindi sembra disteso, ma c’è una parte di investitori che non si fida. «L’indice Skew, una misura della volatilità implicita attesa sintetizzata dall’andamento delle opzioni put out of the money, una sorta di assicurazioni da violenti ribassi azionari, è sui massimi storici – spiega Davide Biocchi, investitore e trader professionista -. Quando la volatilità è bassa assicurarsi costa meno. Ma il balzo dello Skew è anche figlio dell’antico proverbio, “fidarsi è bene non fidarsi è meglio”, che vale tanto nella Street economy quanto a Wall Street».