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 2021  luglio 05 Lunedì calendario

Intervista a Riccardo Scipinotti, l’ingegnere che ha creato un algoritmo per misurare la passione per l’arte dei visitatori

Il tempo trascorso davanti ad un dipinto, l’angolo dello sguardo, il percorso all’interno di un museo e lo stato d’animo con cui osserviamo un’opera, sono fattori interpretabili per conoscere il gradimento di un visitatore. Questo l’obiettivo del progetto ShareArt, una collaborazione tra Enea e Istituzione Bologna Musei, nato dall’intuizione di Riccardo Scipinotti, ingegnere elettronico del Servizio Logistica dell’Unità Tecnica Antartide di Enea, che insieme al gruppo di ricercatori, Giuseppe Marghella, Stefano Ferriani e Simonetta Pagnutti, ha ideato un sistema di telecamere ed intelligenza artificiale per studiare le modalità di fruizione delle opere d’arte.
A cosa serve misurare il gradimento di un’opera d’arte da parte di un visitatore?
«Per studiare meglio l’allestimento delle opere, affinché si possa ottimizzare il gradimento di una mostra e di un museo, perché alcuni allestimenti possono penalizzare certe opere nel percorso, quindi studiare il comportamento davanti ad un dipinto piuttosto che ad un manufatto, può aiutare a fornire dei suggerimenti per valorizzarla al meglio. L’idea che ho avuto è stata di associare il tempo di permanenza davanti all’opera come una sorta di interesse, che può essere positivo o negativo, perché si può guardare un quadro anche per criticarlo, non solo per ammirarlo».
Come è stato sviluppato ShareArt?
«È nato da un’esperienza personale. Nel dipartimento di ingegneria sismica dell’Enea di Bologna si parlava di monitoraggio delle strutture e ho pensato di ampliare l’idea alle persone abbinate ai beni culturali. Abbiamo sottoposto il progetto al presidente di Bologna Musei, Roberto Grandi e iniziato la sperimentazione nei laboratori di Enea nel 2016, dopodiché abbiamo esteso la fase sperimentale allo Csac di Parma ed al Museo Etrusco di Roma. Testata l’abilità del sistema, nel 2020 è iniziato ShareArt con l’installazione di 20 telecamere all’interno del Museo D’Accursio di Bologna in tre aree in modo da poter monitorare opere e spazi differenti».
Come avviene il rilevamento e quali parametri sono raccolti?
«C’è una telecamera di fianco all’opera che attraverso il suo occhio digitale rileva in 100 millisecondi il volto delle persone all’interno del frame, ma non identifica nessuna delle persone presenti; le posiziona nello spazio tramite una calibrazione 3D che avviene in un’unità di computing a cui è collegata e per ogni viso rilevato stima genere, età e stato d’animo, grazie all’intelligenza artificiale allenata su una data set di immagini a riconoscere determinate caratteristiche. Inoltre per ogni faccia è estratta una stringa che memorizza il tempo assoluto in cui la telecamera ha fatto la rivelazione, la posizione in pixel all’interno del frame, per esempio in alto a destra, la misura del viso sempre in pixel, dove punta il naso lo spettatore, cioè dove sta guardando e dov’è posizionato nello spazio antistante».
Questo è ciò che avviene in tempo reale, mentre i dati acquisiti come sono analizzati?
«I dati sono inviati in un server remoto, memorizzati in un database ed una web app sviluppata da Enea consente di fare analisi di tipo statistico, ultimamente orientate anche verso i big data. L’applicazione analizza il tempo in cui le persone sono state davanti ad un’opera, un parametro importante che rivela che alcuni quadri sono osservati molto poco, di solito intorno ai 5 secondi, pochi per 20 secondi, mentre molte opere sono guardate tra uno e due secondi, un aspetto che i curatori di musei probabilmente non sanno e che potrebbero aiutare in un allestimento. A questo dato freddo, che deve essere interpretato dagli esperti museali, viene aggiunto anche dov’è posizionato il visitatore rispetto all’opera ed il percorso che compie per raggiungerla».
Avete scoperto qualcosa nell’osservazione dei quadri?
«Si, per esempio che alcuni dipinti all’interno del Museo D’Accursio di Bologna vengono guardati solo da una determinata angolazione, che potrebbe significare un’illuminazione errata che infastidisce il visitatore oppure un elemento esterno di distrazione».
Oggi indossiamo le mascherine negli spazi chiusi, ma quando saremo di nuovi a volto scoperto, il vostro sistema potrà interpretare anche lo stato d’animo?
«Si, la cosiddetta sentiment analysis è in fase di sperimentazione. Attraverso la rete d’intelligenza artificiale, infatti, possiamo ipotizzare uno stato d’animo neutrale, triste o allegro, ma con le mascherine è visibile solo la metà del volto, per cui il metodo non è affidabile. Sicuramente in futuro potrebbe essere un tassello in più per determinare il gradimento di un’opera».
ShareArt può avere anche un’utilità legata alla sicurezza specialmente in questa fase?
«Si, anche se è nato in era pre-Covid, abbiamo allenato la rete neurale a riconoscere le mascherine sui volti ed a rilevare la distanza interpersonale, segnalazioni che vengono fatte al visitatore su un piccolo monitor vicino all’opera».
C’è una telecamera che esegue delle rilevazioni, ma non c’è nessun pericolo per la privacy del visitatore?
«Abbiamo posto la massima tutela fin dalla fase progettuale alla privacy. Infatti la telecamera non esegue un’identificazione, non riconosce i volti, ma compie solo una rilevazione delle persone e non viene fatta alcuna memorizzazione video su supporti locali o remoti. Tutto le comunicazioni di dati che viaggiano su internet sono delle stringhe di numeri, ma non c’è alcuna codifica dell’immagine dei volti.
L’Italia è piena di musei. Che utilità potrebbe avere ShareArt?
«È molto utile negli allestimenti museali, per ottimizzare i percorsi e non creare interesse solo verso opere maggiori, ma realizzare delle scelte che diano valore ad opere meno note oppure a giovani artisti. Usato invece in pianta stabile può aiutare in tempo reale a monitorare il flusso di visita».