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 2021  luglio 05 Lunedì calendario

Che buffe queste Olimpiadi

Sidney, settembre 2000. Ai blocchi di partenza della piscina centrale dell’International Aquatic Centre, un ragazzo della Guinea Equatoriale sta per fare il suo esordio alle Olimpiadi nei 100 m stile libero. Dopo la falsa partenza dei suoi due avversari, è da solo a bordo vasca e aspetta lo start per la batteria valida per le qualificazioni alle gare successive. Già dalla “spanciata” nel tuffo in acqua è chiaro si tratta di un nuotatore dilettante; e poi, braccia scoordinate, testa sempre fuori dall’acqua, gambe larghe e basse. Commentatori e pubblico subito ridono di lui e fischiano. Ma il ventiduenne Eric Moussambani (questo il suo nome) non può mollare. Sa bene di essere il primo atleta della sua nazione a partecipare alle Olimpiadi. Che sua madre, suo padre, il suo villaggio e l’intero paese lo stanno guardando: non può deluderli, deve concludere la gara. È lì grazie a una wild card (un accesso diretto riservato agli Stati in via di sviluppo che non hanno potere agonistico), e a nuotare, ha imparato soltanto otto mesi prima. Mentre iniziano i primi crampi, ripensa ai corsi, agli allenamenti nell’oceano o nella piscina dell’hotel dove lavorava. Una olimpionica da 50 m, poi, non l’aveva mai neppure vista, gli sembra infinita. Toccato da quell’indomita tenacia, ora il pubblico lo incita applaudendo fortissimo durante la seconda vasca, quella di ritorno. Il dolore ai muscoli è lancinante, ma Eric resiste e conclude la gara quasi svenendo mentre sugli spalti sono tutti in piedi per lui. Il tempo? Più del doppio di un nuotatore medio, ma non importa. Eric “the Eel” (l’anguilla, così è stato soprannominato) è già diventato un simbolo, un’icona dello spirito olimpico.Il racconto di Eric è tra i più appassionanti che troviamo dentro Storie incredibili delle Olimpiadi del giornalista argentino Luciano Wernicke, ma non il solo poiché – come recita il sottotitolo – il libro pullula dei fatti più curiosi, i record più strani, gli uomini e le donne che hanno fatto la Storia. E a proposito di donne nella Storia, come non indulgere sulla nota ginnasta rumena Nadia Comneci, che nel 1976 a Montréal sconcertò giudici e pubblico. È il 18 luglio e Nadia, che ha solo quattordici anni, esegue la sua routine alle parallele asimmetriche. È stata perfetta, ma il punteggio tarda ad arrivare finché sui monitor non compare un bizzarro “1,00”. Cos’era successo? Tarati per un massimo di 9,99, i computer non riconoscono la valutazione effettiva, che era un 10 pieno. Punteggio che Nadia sarà capace di ottenere altre sei volte, alla trave, e al concorso generale, ottenendo ben tre medaglie d’oro. Un altro nome di donna da rammemorare è quello della tiratrice cinese Shan Zhang che, a Barcellona 92, vinse la medaglia d’oro – anche lei prima donna a riuscire nell’impresa – contro due uomini (il peruviano Juan Giha e l’italiano Bruno Rossetti), quando ancora la disciplina del tiro al piattello skeet era mista.
Tuttavia, l’intento narrativo di Wernicke non è svolazzare da un primato all’altro – certo, nel corso della lettura ritroviamo il velocista giamaicano da record Usain Bolt; lo statunitense Michael Phelps, il nuotatore più iridato e versatile di sempre; o ancora l’italiana Valentina Vezzali, la schermitrice più vincente della Storia nel fioretto oltre che la donna più medagliata della scherma (da Atlanta 96 a Londra 2012) – quanto piuttosto concentrarsi sui quei dettagli biografici fosse anche anodini, per non dire infimi, che però rendono i Giochi olimpici una giostra umana ancor prima che sportiva. Delle volte, si tratta anche di racconti maledetti di eccessi, risse e viltà, come il velocista canadese Robert Martin, celebre per essere stato escluso dalle gare ai Giochi sia nel 72 a Monaco sia nel 76 a Montréal per comportamenti inaccettabili nel villaggio olimpico: saltò gli allenamenti per seguire una finale di hockey e ospitò un amico non atleta nella sua stanza. Ma anche barbarie politico-ideologiche: nel 1938, per esempio, la Finlandia si prepara a ospitare le Olimpiadi del 1940 mentre in Europa soffia il vento dei totalitarismi e nazionalismi. Come già molte altre gare, nella nuova cittadella dello Sport a Helsinki il 21 giugno del 1938 ha luogo la finale atta a decretare il campione finlandese della corsa del 100 m. A vincere è Abraham Tokazier, un finlandese di origine e confessione ebraica, che però nella classifica finale risulterà quarto perché il comitato sportivo e il governo non volevano offendere i delegati nazisti presenti in tribuna premiando un ebreo, e così aureolarono il secondo arrivato (ovviamente un gentile).
Emerge, dunque, che il racconto sulle Olimpiadi è in realtà un racconto sull’essere umano come eroe (e talvolta antieroe) del proprio tempo storico, tra inciampi, fiati corti e ferite. Già, ferite. Come quelle che il maratoneta etiope Abebe Bikila avrà riportato sotto i piedi quando ai Giochi di Roma del 1960 vinse a piedi nudi la prima medaglia d’oro olimpica del continente africano, assurgendo così a simbolo della liberazione dell’Africa dal colonialismo europeo.