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 2021  luglio 05 Lunedì calendario

Debiti. La Juve usa il Covid, ma la causa del buco si chiama CR7

Due anni e mezzo fa, il 13 febbraio 2019, a sette mesi dall’annuncio di Ronaldo alla Juventus, Il Sole 24 Ore pubblicava un articolo intitolato “Juventus, sul mercato un CR7 bond a 5 anni” e scriveva a firma Gianni Dragoni: “Le magliette vendute in più non sono sufficienti a ripagare il costo di Cristiano Ronaldo. La Juventus ha deciso di emettere un bond, un prestito obbligazionario, compreso tra 100 e 200 milioni di euro” che “dovrebbe attestarsi sui 150 milioni, tasso fisso e durata 5 anni” (alla fine furono 175, ndr). E ancora: “Bond vuol dire debito. L’operazione porterà a un incremento dei debiti, già quasi raddoppiati prima del costoso ingaggio di CR7”. Per la cronaca: al 30 giugno 2018 l’indebitamento netto della Juventus era raddoppiato rispetto a quello dell’anno prima, passando da 162 a 310 milioni.
Ora, con l’acquisto di Ronaldo che impattava a bilancio per quasi 90 milioni a stagione tra stipendio e ammortamento, e l’aumento impazzito del monte-ingaggi, si era resa necessaria l’emissione del bond. Particolare importante, la data: 13 febbraio 2019. Siamo lontani dall’avvento del Covid, che arriverà a sconvolgere la vita del pianeta esattamente un anno dopo. Ebbene, fate attenzione ora anche a questa seconda data: 19 dicembre 2019. Sono passati dieci mesi dall’emissione del “bond CR7”, di Covid si parla solo a Wuhan, in Cina, ma la Juventus per il livello di indebitamento sempre più alto annuncia un aumento di capitale di 300 milioni sottoscritto per il 63,8 per cento dall’azionista di maggioranza Exor. In pratica: un anno e mezzo dopo l’ingaggio di Ronaldo la Juve è già stata costretta a rifinanziarsi per circa mezzo miliardo: 475 milioni.
E veniamo a oggi. Pochi giorni fa, alla chiusura della stagione agonistica 2020-21 (30 giugno), la Juventus ha deliberato il più grande aumento di capitale della storia del calcio italiano: una ricapitalizzazione di 400 milioni motivata con l’esigenza di “far fronte ai danni causati dalla pandemia Covid-19”, danni quantificati, come da comunicato ufficiale, in 320 milioni. Detto che dall’acquisto di Ronaldo sono trascorsi tre anni e che la Juventus per reggersi in piedi ha dovuto ricorrere a un’iniezione extra di 875 milioni (175 + 300 + 400), quasi un miliardo, appare chiaro come il club di Agnelli stia cavalcando il Covid quale scusante della propria follia. Come il ricorso al bond e al primo aumento di capitale, datati 2019, dimostrano, la pandemia non c’entra col terremoto dei conti ed è stata semmai solo l’ultima scossa di assestamento sulle macerie di un bilancio diventato un groviera solo per le manìe di grandezza e l’inettitudine dello staff dirigenziale, nemmeno in grado di raggiungere il risultato sportivo desiderato. Guarda caso, l’altro grande club europeo con bilanci ancor più disastrati di quelli juventini è il Barcellona, compare di Superlega.
Barcellona che oggi è alle prese col “riacquisto” di Lionel Messi, andato in scadenza, che fino al 30 giugno era a stipendio a 50 milioni netti a stagione. “Ma in Spagna le regole del salary cap sono chiare – ha detto Javier Tebas, presidente della Liga –: poiché il Barcellona è indebitatissimo, può spendere 25 a patto che prima abbia venduto per 100; e allo stesso modo, solo se libera una massa salariale di 100 può investirne 25 in nuovi stipendi”. Non proprio quel che accade in Italia. Questi sono i club che volevano, e ancora vogliono, la Superlega. Ricchi scemi, li avrebbe definiti Giulio Onesti. Ricchi, scemi e con le pezze al culo.