La Stampa, 5 luglio 2021
Gli schizzi di Kafka che nemmeno lui sapeva interpretare
Franz Kafka, almeno negli anni dell’università, fu incerto tra due vocazioni: quella per l’arte figurativa e quella per la letteratura. E si dedicava alla prima con un certo impegno: l’amico Max Brod, che com’è noto salvò e pubblicò le opere dello scrittore, nonostante Kafka gli avesse chiesto di distruggere tutto dopo la sua morte, accarezzò a lungo l’idea di pubblicare i suoi schizzi. Lo fecero poi (ma in parte, sul materiale allora a disposizione, e cioè sui diari), quasi vent’anni fa, due studiosi olandesi.
Ora però, dopo che, alla fine di una lunghissima contesa giudiziaria con eredi veri o presunti di Brod, la Biblioteca Nazionale di Israele si è assicurata l’intero archivio dello scrittore, il Kafka artista non ha più segreti, è tutto consultabile online. La Biblioteca ha messo in rete l’intero archivio recuperato (e restaurato): dove non ci sono «capolavori» inediti e clamorose rivelazioni, ma i manoscritti originali, le lettere spedite e ricevute, le minute, gli appunti. Spicca un prezioso quadernetto nero, tutto di schizzi salvo un breve testo finale: con figurine in movimento, stilizzate e filiformi, tra caricatura ed espressionismo, sogno e incubo, realtà, simboli, voci del profondo. Sembrano cartoni preparatori, appunti misteriosi.
L’amico Gustav Janouch, in un libro del ’53 (Conversazioni con Kafka, Guanda 1998) cita, al proposito, il suo definitivo giudizio: «Mi piacerebbe tanto poter disegnare» gli disse con una certa autoironia. «In effetti, cerco sempre di farlo. Ma non ne viene fuori niente. I miei disegni sono una pittografia molto personale, il cui significato nemmeno io riesco a scoprire dopo un po’ di tempo».