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 2021  luglio 05 Lunedì calendario

Classifica delle città più violente al mondo

Nessuna città italiana compare tra le prime 50 più violente al mondo per numero di omicidi. Né si trovano altre città europee in questa particolare graduatoria, tantomeno asiatiche, australiane o canadesi. La lista viene stilata ogni anno da un’organizzazione non governativa messicana (il “Consiglio cittadino per la sicurezza pubblica e la giustizia penale”) usando come indice il numero di morti ammazzati ogni 100mila abitanti. Le prime tre classificate cambiano di anno in anno, ma non cambia un dato di fondo: la testa è quasi sempre occupata da città dell’America Latina (messicane, honduregne, salvadoregne, guatemalteche, venezuelane, brasiliane). Sono inoltre stabilmente presenti anche alcune medie città degli Stati Uniti e alcune del Sudafrica. Insomma il problema delle città più violente al mondo riguarda il continente americano (46 su 50), in particolare la sua zona centrale, e una parte dell’Africa, luoghi e continenti diversissimi per condizioni politiche, economiche e sociali.


Le ragioni della geopolitica
Alla luce di questi dati, dunque, non si può dire che sia solo il sovraffollamento o la miseria la causa principale della violenza urbana: moltissime megalopoli hanno in questo momento storico tassi bassi di omicidi (tutte le grandi città cinesi, New York, Tokyo, Londra, Istanbul, Seul, ecc.), così come non sono ai vertici i grandi agglomerati urbani con condizioni sociali e abitative disperate. Quello che decide il primato è il controllo del traffico della droga abbinato a determinate condizioni di vita urbana. Il fatto che al primo posto ci sia una città messicana (Celaya), che altre sei si collochino tra le prime dieci e che altre 17 città di quella nazione (cioè oltre il 35 per cento del campione) si trovino tra le prime 50 dimostra come il controllo delle frontiere tra una narco-nazione qual è il Messico e il principale luogo di consumo, cioè gli Usa, sia da almeno 25 anni la causa principale dello scatenarsi della violenza omicida.
È lungo la frontiera tra queste due nazioni che si svolge in tempi di pace una guerra contemporanea che non sembra avere mai fine. E a ridosso del Messico, per entrare nel mercato americano degli stupefacenti, premono altri Paesi vicini. Il Messico solo nel 2019 ha visto morire in maniera violenta ben 34.982 persone, cioè 95 al giorno, 4 ogni ora, come ha documentato su questo giornale Giovanni Porzio. È oggi l’epicentro mondiale della violenza omicida. Per fare un confronto con l’Italia, va ricordato che nella nostra nazione nel 2019 si sono verificati 315 omicidi, numero che è sceso a 271 nel 2020, il più basso della nostra storia unitaria. In una sola città media messicana si compiono in un anno più omicidi di quelli che si compiono in Italia.
Insomma sulla graduatoria incidono motivi geopolitici in relazione al controllo del traffico di droghe. Infatti le due grandi città messicane di frontiera con gli Usa, Tijuana e Ciudad Juárez (quest’ultima descritta magistralmente, con il nome di Santa Teresa, da Roberto Bolaño come l’incarnazione urbana del male in 2666 ), sono al secondo e al terzo posto. Da notare che Medellín (la città colombiana dominata da Pablo Escobar, il più famoso narcotrafficante della storia) non compare da alcuni anni. La Colombia colloca solo due città, a dimostrazione di come l’efficacia di un’azione repressiva si deve sempre coniugare con fattori di geopolitica: il Messico ne ha preso il ruolo di principale luogo logistico dello smistamento della droga.


La fame dei consumatori
Nella splendida trilogia di Don Winslow sul narcotraffico tra Messico e Usa, vengono fatte affermazioni del tutto convincenti: «Le cose non cambieranno mai finché esisterà questo insaziabile appetito per le droghe. Che ha origine dalla domanda prodotta dagli Usa. Il cosiddetto problema messicano della droga è in realtà il problema americano della droga». Insomma, se questa classifica la si guarda con l’ausilio di una carta geografica si comprende bene come il problema della violenza nel mondo in questa epoca storica è in grandissima parte riconducibile al controllo del traffico degli stupefacenti. E le megalopoli non sono necessariamente le più pericolose e violente. Nella criminologia moderna il peso della produzione, del commercio e del consumo delle droghe ha cambiato radicalmente i parametri di interpretazione della violenza, ma su ciò gli scienziati sociali non traggono tutte le conseguenze. L’offerta criminale di droghe è sorretta da una domanda di massa, che ha raggiunto la cifra di 25 milioni di tossicodipendenti nel mondo e di 250 milioni di consumatori occasionali.
Da notare il ruolo centrale del Brasile che colloca ben 11 sue città in questa classifica. Le tre città africane in graduatoria sono tutte sudafricane, a partire da Città del Capo. Anche qui il controllo del traffico di droghe gioca un ruolo importante, ma assieme alle condizioni miserevoli di alcuni sobborghi.
Caso particolare è quello delle cinque città statunitensi. Addirittura St. Louis compare al settimo posto, poi più distanziate troviamo Baltimora, New Orleans, Memphis e Detroit. Le grandi metropoli non compaiono. Ed è ancora più singolare che nessuna delle città americane di confine con il Messico presenta alti tassi di crimine. Come si spiega? Se si analizza il caso di St. Louis, si potrà verificare come anche qui l’alto numero di omicidi commessi è legato al traffico e al consumo di droga. In particolare avendo deciso di abbassare il costo dell’eroina, ciò ha prodotto una accesa conflittualità tra le varie gang. Meno costa la droga, più clienti bisogna procacciarsi per mantenere alti i profitti. Inoltre, negli Stati Uniti, la facilità con cui è possibile acquistare armi incide indubbiamente negli indici omicidiari.
La teoria del generale declino della violenza, che secondo il neuroscienziato Steven Pinker caratterizza la nostra epoca, al punto da considerarla come la più “pacifica” della storia, ha qualche intoppo di fronte al dato che è il commercio delle droghe a causare il più alto numero di omicidi. Mai le droghe avevano assunto un ruolo economico così importante e un consumo cosi di massa. Sta di fatto che uno dei commerci più ricchi al mondo è nelle mani di organizzazioni criminali e ciò causa un numero elevato di morti ammazzati laddove si concentra geograficamente l’incontro tra domanda e offerta, cioè tra Messico e Usa.
In Europa le città con i tassi più alti sono Kaunas e Vilnius in Lituania, anche se imparagonabili con quelli latino-americani, statunitensi e sudafricani. Seguono Marsiglia, Bratislava e Bruxelles. Basso è il tasso nelle altre capitali mentre Roma è ampiamente sotto l’1 per cento.


I paradossi italiani
In Italia, Napoli ha i tassi più alti rispetto alle altre metropoli, ma è scavalcata da Nuoro e Vibo Valentia tra i capoluoghi. Anche nella città partenopea la violenza del passato non è paragonabile a quella di oggi. Il tasso di omicidi ogni 100mila abitanti è passato dal 7,93 per cento del triennio 1989-1991 al 3,16 del 2013-2016 e si è ridotta all’1 per cento nel 2019. Se poi il calcolo lo si fa in rapporto al numero complessivo dei reati commessi, cioè includendo anche quelli non violenti, Napoli e la sua provincia sono solo al diciottesimo posto, mentre Palermo non compare neanche tra le prime venti . Nella graduatoria delle province con più reati Milano è prima, seguono Firenze e Rimini, mentre Roma è sesta, e le prime due province meridionali sono Napoli e Foggia. Paradossalmente si potrebbe dire che senza mafia e camorra, Napoli e Palermo potrebbero essere tra le città e le province meno pericolose al mondo!
Mentre Vibo Valentia è la prima città per numero di omicidi rispetto alla popolazione, quella con più denunce per reati sessuali è Trieste; Roma ha il più alto numero di denunce per spaccio di droghe, mentre Napoli è prima per furti, scippi e rapine a mano armata. Ma Milano in assoluto ha il più alto numero di reati denunciati. In Italia i delitti in famiglia superano da tempo quelli in strada, i femminicidi quelli delle organizzazioni di stampo mafioso.


L’invenzione delle periferie
In conclusione: il controllo del narcotraffico è al centro della violenza omicida nelle città del continente americano, mentre in Europa la violenza si concentra attorno al disagio urbano, in particolare nelle periferie delle grandi città. L’invenzione delle periferie è una delle cose di cui meno possono vantarsi la cultura, la politica e l’urbanistica occidentali, un problema a cui non si pensa minimamente di fare fronte nonostante la quasi scientifica dimostrazione del loro carattere criminogeno. In Italia, invece, le mafie sembrano avere addomesticato la violenza piegandola al servizio degli affari, diversamente dai narcotrafficanti latino- americani. Eccezione è Napoli dove l’assoggettamento della violenza agli affari non è del tutto completato e il disagio urbano provoca una immediata interconnessione con comportamenti devianti nel sottoproletariato urbano: uno dei pochi casi tra le grandi città europee in cui disagio e crimine sono così vicini.
Oggi non è l’immigrazione la principale causa della violenza urbana: sono i traffici attorno alle droghe, la vita delle periferie e le deprivazioni economiche e sociali.