la Repubblica, 5 luglio 2021
L’addio di Bezos alla guida di Amazon
L’imperatore dell’Impero Digitale d’Occidente ci lascia e parte nello spazio, in tutti i sensi. Oggi si ritira Jeff Bezos e lascia il ruolo di capo-azienda al nuovo ad Andy Jassy. Un evento annunciato ma che coincide con i primi rovesci della sua storia imprenditoriale: il sì di principio a una global minimum tax, e la nomina di una giurista molto aggressiva alla testa dell’antitrust, due svolte che portano la firma di Joe Biden. Per l’uomo che ha rivoluzionato la nostra vita quotidiana ed è balzato ai vertici del capitalismo mondiale non è un’uscita di scena totale.
Pur lasciando la carica di amministratore delegato di Amazon si tiene quella di presidente. Il passo indietro di Bezos simbolicamente chiude un’era: l’ascesa trionfale della regina del commercio online, dalla vendita di libri alla vendita di quasi tutto, ha coinciso con la storia di questo personaggio geniale e controverso. Bezos se ne va – come i campioni più astuti – dopo avere assaporato l’ultimo dei suoi trionfi: il 2020 grazie ai lockdown ha segnato un’apoteosi per Amazon, il cui titolo in Borsa in quei dodici mesi tremendi è cresciuto del 70%. Senza indulgere nelle teorie del complotto, i numeri sono così strabilianti che Big Tech sembra quasi avere anticipato il Covid: è come se la tragedia della pandemia fosse stata prevista vent’anni prima, da chi aveva progettato un universo di consumi fatto per ordinare tutto sullo schermo, evitando le piazze e gli shopping mall (idem per lo smartworking e il videostreaming). Oggi sembra scontato eppure agli esordi pochissimi avevano creduto in lui. Bezos traversò l’America dalla East Coast fino a Seattle, sulla costa settentrionale del Pacifico, per pagare meno tasse possibile e pescare talenti in una città “allevata” da Microsoft nell’era di Bill Gates. La mania di eludere le imposte è un “peccato originale” che segna la storia della sua azienda, tuttora inseguita da diversi governi europei per le macchinazioni anti-fisco. Anche la città di New York disse no alla costruzione di un quartier generale Amazon, perché pretendeva esenzioni fiscali esorbitanti. Con il senno di poi Bezos teorizza che cominciò vendendo libri perché questo business gli consentiva di catturare il massimo d’informazioni sui gusti dei clienti. Si allargò ai cd, alla musica, ai prodotti elettronici, e poi progressivamente a quasi tutto ciò che si può comprare. Per molti anni non fece profitti, tuttora non ama distribuire dividendi: il teorema Bezos era proiettato verso la conquista di una posizione di mercato dominante, semi-monopolista.
Ha fatto incursioni vantaggiose anche nel mondo della grande distribuzione tradizionale, comprando i supermercati alimentari “salutisti” della catena Whole Foods. Ha inventato l’assistente digitale Alexa. Ha avuto contrasti accesi con Donald Trump, di cui Amazon ha letteralmente censurato i seguaci facendo scomparire il social media di destra Parler. È diventato una potenza della tv e del cinema, sia nella produzione che nella distribuzione in videostreaming. Al termine di quei 12 mesi folli in cui la maggioranza degli americani soffrivano per la pandemia e lui diventava sempre più ricco (ma creava 500.000 nuovi posti di lavoro nel mondo), Bezos ha offerto la capacità logistica di Amazon per l’operazione vaccini. Sul piano personale, oltre al divorzio più costoso della storia, resta la macchia di essere associato al periodo di più crudele esasperazione delle diseguaglianze, quando i lockdown e la bolla speculativa di Big Tech in Borsa sono diventati un acceleratore d’ingiustizia.
Bezos ha coronato il suo trionfo economico aggiungendoci una vittoria politica: nella primavera del 2021 non è passato il referendum per ammettere il sindacato nello stabilimento di distribuzione Amazon a Bessemer, Alabama. Un’ampia maggioranza di lavoratori (71%) ha votato no. Finora nessuna sede Amazon ha organizzazioni sindacali al proprio interno. In passato altri tentativi simili sono falliti, così come i referendum per sindacalizzare i dipendenti della filiale Whole Foods nella distribuzione alimentare. Ironia della sorte, Bezos passa per essere un pilastro dell’establishment progressista: come editore del Washington Post ha sostenuto l’opposizione contro Trump; di recente si è scoperto ambientalista e ha creato un fondo di 10 miliardi per la lotta al cambiamento climatico. Ma non ha mai voluto i sindacati nella sua azienda.
Ma si delinea all’orizzonte una sconfitta politico-economica targata Biden. L’elusione fiscale di Amazon, e delle sue consorelle come Apple, è all’origine della spinta verso una global minimum tax, da aggiungersi alla digital tax. L’accordo al G7 e al G20, più la nomina della giovane Lisa Khan alla testa dell’antitrust, una giurista nota per essere un “falco”, potrebbero aprire nella storia di Amazon un nuovo capitolo meno ricco di successi. Forse Biden riuscirà a spezzare il connubio tra i Bezos e la sinistra americana, nel quale caso il percorso dei giganti digitali si farebbe più accidentato in futuro.