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 2021  luglio 04 Domenica calendario

Intervista alla modella e attrice Lily Cole

Lily Cole è una modella e attrice britannica. A 16 anni era sulla copertina di Vogue, è stata modella dell’anno ai British Fashion Awards 2004. Ma è anche lettrice di letteratura al King’s College di Cambridge e ha appena scritto un libro sul futuro sostenibile - Who Cares Wins - in cui intervista Sir Paul McCartney, Elon Musk e Gail Bradbrook, co-fondatrice di Extinction Rebellion. «Fin dall’adolescenza sono abituata giocare su più tavoli. La moda non l’ho scelta io, sono stata scelta. Ho sempre amato i libri, lo studio e la scuola. Ho una passione per il cinema e ho iniziato anche a fare la regista. Per alcuni anni mi sono allontanata dalla moda, ma recentemente ci sono tornata. L’industria sta diventando molto più responsabile».
Ha lavorato per grandi nomi come Alexander McQueen, John Galliano, Gianni Versace; aziende come Gucci e Hermès; riviste come Vogue e Harper’s. Quali sono state le esperienze più importanti?
«Sono stata ispirata dalla creatività che si respira. Amavo la follia e la teatralità della Couture Fashion Week a Parigi. Le sfilate elaborate di Dior, Galliano e Jean-Paul Gaultier. Amavo molto Alexander McQueen, il suo era puro teatro. Ho lavorato anche con grandi fotografi: Steven Meisel, Tim Walker, Nick Knight».
C’era un elemento di narcisismo nell’essere fotografata da questi famosi artisti?
«Un po’. A una modella molto giovane e di successo viene detto che è incredibile, favolosa... Ma dipendi dal giudizio degli altri, quindi genera anche insicurezza. La semplicità della scuola era un salutare contrappeso. I miei amici non mi vedevano in modo speciale. I miei buoni amici di allora sono tali ancora oggi».
Come è passata dalla moda e da Cambridge al film con Terry Gilliam?
«Bisogna chiederlo agli dei. È stata una fortuna incredibile lavorare in Parnassus. Poi mi è stato chiesto di lavorare su un progetto diverso con Sally Potter, un’altra meravigliosa regista, per un film sull’industria della moda. Il direttore del casting era lo stesso del film di Terry Gilliam e mi ha proposto. È successo tutto in modo magico e fortuito».
Si adopera per un mondo più sostenibile?
«Sì. Mi ha influenzato mia madre, molto attivista. Quando ho iniziato a lavorare nella moda venivo contattata per sostenere diverse cause. Mi sono resa conto che non potevo sfilare senza preoccuparmi di come venivano fatte le cose e poi, separatamente, far beneficenza. Il business ha un enorme impatto sul pianeta, quindi ho cercato di lavorare con certe aziende e supportare prodotti in cui credevo».
Una top model viaggia molto. Oggi ha scoperto il piacere di una vita più lenta?
«Amo i molti aspetti positivi del viaggiare, vedere nuove culture, nuovi posti. Negli ultimi anni ho adottato un approccio più lento. Ho un’auto elettrica, prendo i treni quando posso e quando volo cerco di fare un percorso più lungo e quindi volo di meno. Non è perfetto, ma questo è il mio approccio».
Qual è la filosofia del suo libro?
«Ho fatto un sacco di ricerche e ho intervistato più di cento persone che lavorano in diversi campi, dal cibo alla moda, alla tecnologia, dai rifiuti alle comunità indigene, al femminismo, cercando di presentare una visione completa dell’enorme numero di persone che stanno lavorando a delle soluzioni sui cambiamenti climatici. Se li sosteniamo, è più probabile che si affermino».
Lei è sempre ottimista?
«Non necessariamente, ci sono momenti in cui mi sento pessimista, ma l’ottimismo si può scegliere. La mia filosofia si basa su una grande convinzione nel potere che ognuno di noi ha nel plasmare il futuro. Da una prospettiva più ampia, sono in corso molti cambiamenti positivi. Martin Luther King ha detto, citando Theodore Parker, che "l’arco dell’universo morale è lungo, ma tende verso la giustizia". Molti desiderano migliorare le cose, è da lì che traggo l’ottimismo.
Cosa pensa del MeToo?
«Sostengo decisamente la premessa di fondo. Non mi piacciono la caccia alle streghe e i processi mediatici. Le persone sono innocenti fino a prova contraria. A volte questo viene ignorato, e quindi a volte ho sentimenti contrastanti su come si manifesta».
Ha mai voglia di tornare a fare la modella?
«Non è che muoia dalla voglia. Ho una vita molto impegnata e sto scrivendo una sceneggiatura che voglio dirigere, ma ero molto chiusa quando avevo vent’anni e ho detto no a molte opportunità... Ora sono curiosa di vedere come è cambiato il settore, tante cose sono diverse, sia in termini di persone che di valori. E sembrano cambiamenti molto positivi».
Ci sono talenti interessanti tra i nuovi creativi?
«Sì, molte nuove voci giovani. Sarà interessante vedere come la pandemia rimodellerà il settore, se ci saranno nuovi modi di mostrare abiti e collezioni che non richiedano a migliaia di persone di viaggiare più volte all’anno per seguirli».
In passato conservavamo i vestiti con più cura. Recupereremo un po’ di tutto questo?
«Penso che sia essenziale in questo momento. In tutti i settori, non solo nella moda, poiché con la produzione di massa i prodotti sono diventati sempre più economici, ma anche usa e getta. E questo porta a un consumo eccessivo e ad enormi quantità di discariche. Culturalmente abbiamo un rapporto molto dispendioso con i vestiti e con le cose materiali. Qualcosa come tre quarti dei vestiti che vengono acquistati ogni anno ora finiscono buttati, miliardi e miliardi di capi. Se paghiamo di più e investiamo in qualcosa di ottima qualità che possiamo riparare, a lungo termine finisce per essere più economico».
Viviamo in un mondo che non ha ancora una soluzione?
«Continuo a essere ottimista perché solo 15 anni fa sembrava una preoccupazione di nicchia. Ora c’è più consapevolezza. Alcuni grandi marchi stanno migliorando il loro impatto. Non abbiamo ancora risolto la situazione, ma siamo su una buona strada. La moda influenza tutti gli altri settori, quindi riflette un cambiamento più ampio».
(Traduzione di Carla Reschia)