La Stampa, 4 luglio 2021
In Afghanistan parte l’assalto a Kabul
Avanzata dei taleban verso la capitale, chiamata alle armi delle milizie e migrazione di trafficanti e fuorilegge verso lo Stato islamico. È il quadro dell’Afghanistan che si potrebbe delineare dopo il ritiro delle truppe Nato dal Paese, in base agli accordi siglati a Doha tra Stati Uniti e fondamentalisti del movimento creato dal Mullah Omar.
Le operazioni di ritiro stanno avvenendo senza particolari problemi per l’Alleanza, non ci sono incidenti rilevanti in virtù dell’accordo bilaterale che al momento viene rispettato. Le ostilità nei confronti del governo di Kabul però proseguono, perché con esso i taleban non hanno raggiunto nessuna intesa. «All’accordo bilaterale siglato in Qatar avrebbe dovuto far seguito un negoziato intrafghano, tra taleban e governativi. Ma il dialogo non va avanti per una serie di motivi», spiega a «La Stampa» una fonte politica vicina alle nazioni Unite. Uno dei fattori è rappresentato dallo stesso presidente Ashraf Ghani: «Una volta che si trova l’accordo la prima e forse l’unica poltrona che salta è la sua, ecco perché tende a frenare sui colloqui». È doverosa a questo punto un’altra considerazione, ovvero che la Nato ha avuto successo perché i compiti che le sono stati assegnati li ha portati a termine. È mancata l’azione politica - prosegue la fonte -, «il vero fallimento è stata la mancanza di un anello di congiunzione tra l’azione militare e quella diplomatica». Lo scenario plausibile è quindi il seguente: «Avremo sei mesi complicati, ma non è detto che si vada verso la caduta di Kabul. I taleban continueranno a conquistare le aree remote, e quando saranno sicuri che non ci saranno più militari stranieri cominceranno ad attaccare anche le province rafforzando il loro consenso (anche perché la popolazione poco può da sola contro di loro), e la capacità militare, visto che si impossesseranno delle armi delle forze regolari. Kabul inizierà ad essere a rischio caduta non prima di otto o nove mesi». Bisogna vedere quanto tempo resiste Ghani: «Cerca di resistere il più possibile per garantirsi un esilio dorato come salvatore della patria». E soprattutto quanto resisteranno le forze di sicurezza afghane, dal momento che quando cadono loro cadrà tutto.
I taleban hanno infatti sviluppato una capacità strategica importante e dalla loro hanno il collante ideologico, sono motivati, mentre i governativi non lo sono perché non c’è un vero concetto di nazione. «L’Afghanistan ha ancora una struttura tribale, etnica, religiosa, per cui quando c’è il confronto diretto all’80% le forze regolari scappano o si arrendono». E qui entrano in gioco le milizie, specie quelle che fanno capo ai signori della guerra. «Sono nemici dei taleban, ma non si sentono protetti dalle forze regolari e non si sentono rappresentati dal governo, quindi si armano come hanno fatto contro i sovietici e contro i taleban sino al 1994». È il caso della minoranza sciita Hazara e delle forze di Ismail Khan a Herat, solo per citarne alcune. «I combattimenti andranno avanti per almeno quattro o cinque anni - è la previsione della fonte -, il Paese assumerà un assetto a macchia di leopardo con ampie zone controllate dai taleban e altre dalle milizie».
Un’ultima considerazione riguarda inoltre il futuro dei taleban come forza di governo, semmai gli sarà consentito: «Loro non mirano alla pace, ma neanche alla guerra totale perché sarebbero isolati, mentre hanno bisogno del sostegno della comunità internazionale, o almeno di una sua parte». In qualche modo tenteranno di presentarsi con un volto un po’ più istituzionale. Cosa ne sarà allora di quelle frange del movimento «meno pure» costituite da trafficanti e banditi che sino ad oggi hanno goduto della protezione dei taleban perché operavano contro il governo di Kabul? «È probabile che migreranno verso lo Stato islamico» che rafforzerà le sue fila nelle aree dell’Est del Paese come l provincia di Nangarhar dove da anni fa affari controllando i traffici al confine col Pakistan.