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 2021  luglio 04 Domenica calendario

Va’ dove ti porta l’infezione

Capo del Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità dal 1996 al 2003 e Direttore Generale della Prevenzione e della Comunicazione al Ministero della Salute dal 2004 al 2008, Donato Greco ha partecipato a, o ha guidato trenta studi epidemiologici sul campo, in Italia e nel mondo, cooperando con le massime agenzie internazionali, per spiegare e contrastare le epidemie.
Il libro scritto insieme a Eva Benelli, che si legge con facilità e piacere, racconta in modo intellettualmente onesto una serie di casi epidemiologici geograficamente localizzati, alcuni dei quali emblematici della transizione dopo metà Novecento alle epidemie dovute a parassiti emergenti o riemergenti.
Queste infezioni si manifestano nell’uomo come conseguenza di spillover, cioè tracimazioni da zoonosi animale in contesti favorevoli, o perché antichi parassiti (tubercolosi, sifilide o infezioni opportuniste) riguadagnano o guadagnano virulenza a fronte di condizioni che li favoriscono, come abuso di antibiotici o presenza di ospiti immunodepressi. Le nuove infezioni non viaggiano più con carovane o navi, ma usano gli aerei e diffondono ovunque in tempi che con consentono più di bloccarle a qualche frontiera.
Greco spiega come ha affrontato e risolto o provato a risolvere problemi di natura diversa, prima come epidemiologo sul campo alla ricerca dell’origine di un’epidemia, poi come dirigente ed esperto internazionale nella pianificazione delle politiche di sanità pubblica. Un elenco di casi che vanno dal colera del 1973 a Napoli, fino all’epidemia di poliomielite nel Tagikistan nel 2010, passando per epidemie di peste, tubercolosi, etc. in diverse zone del nostro paese, o per un toccante capitolo sull’epidemia di Ebola nel 2000 in Congo. A rendere piacevole la lettura è anche la contestualizzazione storico-sociale, antropologico-culturale, etc. delle vicende narrate.
Sulla pandemia in corso, scrive di essere rimasto colpito dall’indifferenza per il danno ai nostri figli e nipoti causato dalla riduzione e sospensione delle attività didattiche, che avrà conseguenze incalcolabili, senza contare che sulle loro spalle stiamo caricando in forma di indebitamento gran parte dei costi delle misure anti-Covid-19. Egli critica anche «l’espansione straordinaria dell’assistenzialismo di stato» e la «trasformazione dei rapporti sociali» in senso contrario a quella pro-socialità che tutti auspichiamo.
Elenca una serie di misure a protezione dei deboli che si debbono pianificare per governare le pandemie, e altre a sorveglianza del territorio, per la scuola e per la comunità. L’approccio emergenziale, tipico dell’Italia, dovrebbe tramontare per lasciare il posto alla gestione razionale del rischio epidemico, con una preparazione (preparadness) che sia parte integrante della cultura e prassi quotidiana del Paese.
Greco tesse l’elogio dell’epidemiologia sul campo, mentre nell’ultimo anno e mezzo abbiamo assistito al trionfo dell’epidemiologia al computer o «armchair epidemiology». «Epidemiologia di moda», la definisce. L’epidemiologia italiana è rimasta «silenziosa», osserva, nel senso che non si fanno più studi analitici né si usano modelli caso-controllo e di corte, che darebbero precisione e validità scientifica alle decisioni: questo anche perché all’Istituto Superiore di Sanità, il laboratorio Greco è stato cancellato anni or sono. L’epidemiologia è come l’intelligence, scrive, ovvero funziona utilmente se organizza attività per conoscere le dinamiche ecologiche rischiose e reali, non teoriche, con lo scopo di prepararsi alle eventuali minacce.
La comunicazione è stato un aspetto critico della pandemia in corso. Non una novità. Greco ricorda la disinformazione che circolava sul colera nel 1973, che era già pervasiva e causa dalla proliferazione di pseudoesperti associata all’eterno sensazionalismo mediatico. Singolarmente stavolta non erano solo gli pseudoesperti, ma gli esperti stessi il problema. Ed è mancata qualunque traccia di comunicazione istituzionale, che altri paesi hanno avuto cura di fare, più in generale di un’etica della comunicazione. Mentre le forme e i contenuti dalle discussioni nei talk show o gli articoli e le interviste nei diversi media sono stati la testimonianza purtroppo tragica che, in Italia, la comunità scientifica non conosce e né pratica un’etica della conoscenza.