il Fatto Quotidiano, 4 luglio 2021
Trentacinque anni da Yuppies. Intervista a Enrico Vanzina
Quando “dentista” equivaleva a denaro contanti. Quando il cellulare era meno di una rarità. Quando l’orologio sul polsino della camicia chiamava subito la erre moscia. Quando il successo andava esibito, da bere con modalità sfrontate, con parametri certi da rispettare.
Quando tutto questo voleva dire Yuppies.
E chi li ha inquadrati, o immortalati sullo schermo, sono i fratelli Vanzina, con un film del 1986, ormai diventato cult (“pensare che non lo rivedo mai”, spiega Enrico), e soprattutto con una sorprendente fotografia su come eravamo e qualche risposta a come siamo diventati; talmente sorprendente da portare il produttore, De Laurentiis, a girare il seguito appena sei mesi dopo, nonostante il no dei Vanzina (“non amavamo i sequel”).
Sono 35 anni.
Di quel film me ne parlano molto, arrivano perenni stimoli, con i protagonisti della pellicola che attraverso i social ricevono pressioni per riportare sullo schermo gli stessi personaggi. “Siamo vecchi”, rispondono. “È uguale, vogliamo sapere cosa sono diventati gli yuppies”.
Ha inquadrato una generazione.
La perenne nostalgia degli Ottanta un po’ mi devasta, mi rende la vita complicata: sono diventato una specie di cantore, e siccome sono scomparsi quasi tutti, tocca quasi solo a me.
Nel film Greggio a un certo punto sorride alla Clery: “Se fossero tutte come lei, minimo non esisterebbero i gay”. Oggi sarebbe una battuta bollata.
Se uno andasse a rivedere con questa chiave le pellicole dal ’48 in poi, in molti farebbero la fine di Giordano Bruno; attenzione: è una battuta che suona orribile, e oggi non l’avrei neanche pensata, ma il personaggio di un film non è portatore di verità, magari è un cretino che esprime una cazzata.
Gianni Agnelli osannato.
Con lui ho costruito un rapporto particolare, anche per ragioni calcistiche: si divertiva con i nostri film e aveva iniziato a invitarmi a Torino in occasione di Juventus-Roma. Mi portava allo stadio in elicottero e in quelle fasi assistevo alla “vita secondo Agnelli”.
Lo avete citato spesso.
Lui felice, gli piaceva una scena di Eccezzziunale veramente, quando Diego (Abatantuono), nei panni del terroncello tifoso bianconero, sosteneva di essere pronto a prestargli i soldi per acquistare Maradona; (ci pensa) l’avvocato era anticonformista, un modo per sentirsi vicino al popolo, per tramutarsi in simbolo.
Nel film non mancano i riferimenti a Berlusconi.
Ho assistito a qualche telefonata tra loro, uno chiedeva come va la Standa, l’altro si informava della Rinascente e magari domandava quanti panettoni pensava di vendere per Natale.
Due bottegai.
Era da ridere (Vanzina imita Agnelli alla perfezione).
Gli yuppies, oggi.
Di recente ho preso un treno Milano-Roma, lì sopra ne ho visti tantissimi, ma con una differenza: adesso si definiscono “creativi” e non vogliono risultare condizionati da mode o simboli, puntano a condizionare, all’unicità, vogliono determinare il proprio destino.
Allora si viveva di simboli “comuni”.
E in Yuppies il product placement (inserimento di prodotti commerciali) ha avuto un ruolo non scontato: per la Y10 (guidata ed esaltata dal personaggio di Greggio) ho presenziato a setto-otto incontri, micidiali, con il capo della comunicazione Fiat. L’auto doveva apparire di moda, sicura: De Laurentiis incassò molti soldi.
Non solo la Y10.
Per Diego Della Valle e la Tod’s fu l’inizio del successo.
Jerry Calà il testimonial.
Le scene non erano concordate come per la Fiat; fino a quel momento la comunicazione di Della Valle era molto interessante. Non pubblicizzava attraverso le foto, i poster, la classica cartellonistica, ma utilizzava editoriali, ad esempio: “Ieri l’avvocato Agnelli è andato in barca a vela e come al solito indossava delle Tod’s”.
Piace alla gente che piace.
Io e mio fratello eravamo amici di Della Valle, così decidemmo di iniziare Yuppies con Jerry che apriva un armadio e mostrava soltanto Tod’s. Non solo: per lanciare il film, andiamo ospiti in trasmissione da Pippo Baudo e va in onda proprio quella scena. Da lì, me lo ha confermato Diego, ci fu il boom della sua azienda.
Jerry Calà ha compiuto 70 anni.
Mica invecchio solo io (sorride). Però è rimasto con lo spirito del tempo; (pausa) non è mai stato uno yuppie, era ed è una persona semplice, senza l’atteggiamento da rampante, piuttosto da ragazzo di provincia che suona nelle balere.
Invece Greggio.
Lui sì e lo ha cavalcato: da sempre veste in un certo modo, è diventato un imprenditore, e poi è un uomo molto intelligente e colto; (sorride) ormai anche Boldi sembra tramutato in una specie di commendatore e Christian (De Sica) è cambiato; (ci ripensa) Jerry ha sofferto tantissimo per quel film.
Come mai?
In partenza era la punta di diamante, all’apice della carriera, ma non aveva la parte più divertente, mentre Boldi e De Sica si sono tramutati in una coppia artistica. Insomma, da quella pellicola, De Laurentiis puntò sul duo e non più su Jerry.
Per Neri Parenti girare con De Sica è semplice.
È il più grande professionista, è una macchina da guerra, con un’impostazione da attore statunitense: arriva sul set preparato, impeccabile.
I critici stroncarono il film, venne definito “imbarazzante” o “tra i più nocivi del decennio”.
In sala non era imbarazzante, gli incassi non sono stati imbarazzanti, i passaggi televisivi non sono imbarazzanti. Conta il tempo…
Questo pragmatismo lo ha imparato con gli anni?
Ormai siamo di culto, ed è la fregatura più grande, perché nascono teorie, si assegnano significati che non esistono, ricostruzioni assurde.
In Yuppies c’è una categoria oramai rara: i caratteristi. Come Guido Nicheli.
Mito assoluto, conosciuto grazie ai Gatti di Vicolo Miracoli; è stato l’eroe di Sapore di mare, di Vacanze di Natale o della serie I Ragazzi della 3ª C. Hanno scritto libri su di lui.
Icona.
Davvero straordinario: sul set seguiva le nostre indicazioni e riusciva sempre ad aggiungere del suo. Poi nel cast ci sono pure i bravissimi Ugo Bologna e Valeria D’Obici (ci pensa): io e mio fratello Carlo veniamo da una famiglia che ha sempre considerato i caratteristi fondamentali per costruire un buon film (suo padre è Steno).
Perché sono scomparsi?
Gli attori di maggior talento hanno deciso di diventare registi e sceneggiatori e hanno girato pellicole autoreferenziali, con un protagonista che dall’inizio alla fine parla. Carlo Verdone è l’unico a essersi differenziato.
Si è perso molto.
Non ci si rende conto che Tina Pica è la forza di Pane e amore, Tiberio Murgia de I soliti ignoti, Giacomo Furia magistrale ne La banda degli onesti; mio padre ha inventato Carlo Delle Piane in Guardie e ladri e in Un americano a Roma o Turi Pandolfini in Un giorno in pretura, stupendo accanto a De Filippo.
La lista è lunga.
Quando abbiamo girato Febbre da cavallo, papà ha azzeccato due ruoli chiave: quelli di Mario Carotenuto e Adolfo Celi; noi negli anni Ottanta, quando abbiamo iniziato ad avere successo, non avevamo mai a disposizione i big come Verdone o Troisi, non avevamo un mattatore alla Gassman, così ci siamo inventati dei caratteristi che poi sono diventati protagonisti.
Guido Nicheli quanto era simile al suo personaggio?
Era esattamente così; (ride) era sposato o conviveva, non ricordo bene, ma a un certo punto decise di andarsene di casa, quindi preparò la valigia, mise il guinzaglio al cane e, sulla porta, mentre la sua ex ormai guardava la televisione, sparò una di quelle frasi mitologiche: “Cambio cavallo”.
Boldi e De Sica.
Mentre scrivevamo la sceneggiatura abbiamo capito la loro forza, la magia della contrapposizione, però il potenziale di Christian era già chiaro; Massimo lo conoscevamo meno, ma è una forza.
Nella sua classifica dove inserisce Yuppies?
Forse al decimo posto.
Così giù?
Il primo è Il cielo in una stanza con Elio Germano all’esordio; poi Sapore di mare, film che anche io ho scoperto e capito con il tempo, terzo Vacanze di Natale (pausa).
E Le finte bionde…
È stato il mio primo libro edito da Mondadori, non volevo girarci il film, ma Carlo ha insistito: al botteghino è stato una catastrofe. Ora per i gay è un cult. Ultimamente l’ho rivisto ed è esattamente ciò che accade oggi: la fotografia di una borghesia arricchita tutta votata all’apparire.
Di solito per i personaggi vi ispirate al vostro mondo. Poi gli “amici” si riconoscono?
Mai. E il perché me lo spiegò Villaggio mentre giravamo Io no spik inglish: secondo lui Fantozzi era diventato tale perché in platea c’era il vero Fantozzi, si rivedeva, ma allo stesso tempo era convinto che fosse quello accanto a lui.
Un rimpianto?
In certi film la nostra intenzione era di criticare la società, di riderci sopra, e invece ci hanno catalogato come i cantori dei personaggi: su questo ancora oggi divento pazzo.
Di quel gruppo di attori a chi è più legato?
A Ezio Greggio, è un amico e poi è lui che ha dato la patente di autenticità a Yuppies. Lui era Yuppies.
La sua colonna sonora degli anni Ottanta.
Per ragioni sentimentali è questa (si siede al pianoforte, cambia espressione e inizia a suonare “I like Chopin”). Perché penso a mio fratello…