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 2021  luglio 04 Domenica calendario

Il sistema del cardinale Becciu. In dieci a processo

Un potente cardinale, la sua consigliera più fidata e una manciata di collaboratori corrotti a processo perché hanno galleggiato per anni in un mare popolato di squali della finanza, distraendo i fondi dell’Obolo di San Pietro (le elemosine dei fedeli da destinare alle opere di carità) in favore di spregiudicate operazioni speculative, oltre che soddisfare esigenze e ambizioni del tutto personali.
L’inchiesta dell’Ufficio del promotore di giustizia del Tribunale vaticano (la procura della Santa Sede) va oltre le irregolarità compiute per l’acquisto scellerato dell’ex-sede dei magazzini Harrods di Londra, descrive «un marcio sistema predatorio» e riscrive i contorni di una maxi truffa che coinvolge in pieno la Segreteria di Stato Vaticana (definita parte lesa dagli stessi inquirenti) a partire dal ruolo svolto da Angelo Becciu, il cardinale che dal 2011 al 2018 è stato il Sostituto per gli affari generali di quel dicastero, di fatto la terza carica più potente e autorevole della Santa Sede.
L’indagine viene aperta nel 2019 dopo una prima segnalazione dello Ior (l’Istituto per le opere di religione), ma il coperchio salta il 19 giugno scorso quando arriva “l’assenso del Sommo Pontefice”, il via libera del Papa, vittima anche personale di questa spoliazione, all’emissione del decreto di citazione nei confronti del suo ex-fedelissimo, il cardinale Becciu.
Emerge così un castello di frodi, investimenti sbagliati, ricatti, estorsioni, alimentato dalla corruzione e ricostruito nelle 488 pagine della richiesta di emissione del decreto che dispone la citazione a giudizio nei confronti di 10 imputati (Angelo Becciu, Mauro Carlino, Enrico Crasso, Tommaso Di Ruzza, Cecilia Marogna, Raffaele Mincione, Nicola Squillace, Fabrizio Tirabassi, Gianluigi Torzi, René Brülhart) e fissa per il prossimo 27 luglio l’apertura del processo. Dietro i nomi, un dettagliato elenco di misfatti, sottoscritto dal promotore di giustizia Gian Piero Milano, dal promotore aggiunto AlessandroDiddi, e dal promotore applicato Gianluca Perone, che svela le dinamiche attraverso cui oltre 300 milioni di euro hanno abbandonato le strade del Signore per finire nelle tasche di faccendieri come Raffaele Mincione, oggi accusato di peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e riciclaggio.
Dalla pasta umana amalgamata nel comune interesse di sottrarre denari alle casse dello Stato Vaticano, emerge «un intreccio, quasi inestricabile, tra persone fisiche e giuridiche, fondi di investimento, titoli finanziari, banche e istituti di credito. Vicende ordinate appositamente e variamente interessate ad attingere alle risorse economiche della Santa Sede, spesso senza alcuna considerazione delle finalità e dell’indole della realtà ecclesiale». Proprio quello che è accaduto con l’acquisto del palazzo di Londra.
Il magazzino di Chelsea
La storia ha inizio in Angola. È lì che il cardinale Becciu, allora numero uno della sezione Affari generali della Segreteria di Stato vaticana vuole investire 200 milioni dell’Obolo di San Pietro in un affare petrolifero. Per farlo chiede aiuto a Enrico Crasso, il finanziere che per 27 anni ha gestito una parte consistente delle finanze vaticane, e Crasso mette in contatto Becciu con Raffele Mincione, il broker di Pomezia emigrato a Londra. Mincione rilancia: più che il petrolio, l’immobiliare. E propone alla Santa Sede l’acquisto dell’ormai famigerato palazzo di Sloan Avenue a Londra. Becciu accetta e nel 2014 investe nel fondo Athena Capital Global Opportunities di Mincione 200 milioni di dollari (pari a 166,6 milioni di euro). Rispetto al totale dell’investimento, solo 100 milioni di dollari vengono indirizzati all’acquisto dell’edificio («senza alcuna preventiva valutazione dell’investimento»). Il resto Mincione lo usa per finanziare una serie di speculazioni finanziarie. Nel 2018 la Segreteria di Stato si accorge che quegli investimenti rischiano di diventare un bagno di sangue. L’immobile di Londra è infatti gravato da 124 milioni di euro di debiti nei confronti di alcune banche, che di fatto abbattono in modo significativo il valore di mercato del palazzo. Da qui la decisione di rompere il rapporto con Mincione. Ancora una volta la soluzione prospettata nasconde una trappola: il Vaticano è costretto a rilevare per intero la società proprietaria dell’immobile di Londra, a versare 40 milioni di sterline a Mincione a titolo di conguaglio del prezzo, e a intestare l’immobile stesso a un nuovo fondo, il Gutt Sa.
Ricomprare da se stessi
Come insegnano le disavventure di Pinocchio, quando si naviga nel mare dei furbetti è sempre rischioso chiedere aiuto. Lo prova sulla sua stessa pelle la Segreteria di Stato vaticana che per convincere Mincione a consegnare le chiavi del palazzo di Londra coinvolge un altro broker italiano di base nella capitale inglese: Gianluigi Torzi. Torzi è una vecchia volpe della finanza capace di fiutare gli affari prima ancora che vengano pensati. Questo accade con il palazzo di Londra perché – una volta rientrata in possesso della proprietà – la Santa Sede si trova come socio nel fondo Gutt Sa proprio Torzi, titolare di 1.000 azioni con diritto di voto. Inizia da quel momento una nuova estenuante trattativa, che si conclude nel maggio del 2019 quando il finanziere accetta di cedere le sue quote, in cambio però di 15 milioni di euro. È per questo che il Tribunale della Santa Sede accusa Torzi di estorsione, oltre che di peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio. 
La cricca in Segreteria di Stato
«Coadiuvare da vicino il Sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione». Questo avrebbe dovuto essere il compito degli uomini della Segreteria di Stato, quella manciata di funzionari e collaboratori che insieme al cardinale Becciu hanno guidato per anni la Sezione affari generali. E invece se gli squali della finanza hanno potuto sottrarre centinaia di milioni dalle casse del Vaticano è grazie alla complicità di alcuni personaggi di questo ufficio, dove, oltre a Becciu, si muovono con assoluta disinvoltura Fabrizio Tirabassi, persona di riferimento nella gestione del portafoglio immobiliare e finanziario, e monsignor Mauro Carlino, segretario di Becciu e accusato di estorsione e abuso d’ufficio. «Lo spaccato emerso dall’analisi della documentazione cartacea e informatica acquisita – scrivono i promotori di giustizia – evidenzia il sistematico sfruttamento, da parte dei vari dipendenti della Segreteria di Stato, della posizione assunta nell’ambito del più importante apparato amministrativo dello stato per propri tornaconti personali».
Da qui le accuse mosse a Tirabassi per corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio. Tirabassi è infatti l’uomo che operativamente tesse le relazioni d’interesse con Mincione. Una teoria confermata da Torzi nel corso dell’interrogatorio del 13 luglio del 2020. «Tirabassi – spiega Torzi – mi ha raccontato che venivano incassate delle commissioni su una società avente sede a Dubai, che poi questa provvedeva a suddividerle tra Crasso e Tirabassi. A un certo punto Mincione non ha più versato queste commissioni e anche per questa ragione sarebbe sorto il problema di interrompere i rapporti con lui».
Proprio sull’acquisto del palazzo di Londra, lo stesso Torzi deve incontrarsi il 5 dicembre del 2018 con Manuel Intendente, l’intermediario indicato da Fabrizio Tirabassi, un incontro funzionale a pagare parte della mazzetta. Intercettato al telefono mentre parla con un altro sodale, Torzi dice: «Devo dare a Manuel 20/30 k per venerdì, Roma o Milano, come posso fare?». E ancora: «Questo mi ha fatto chiudere il palazzo!».
La famiglia del cardinale 
Tra le dune di Dubai e i palazzi in cortina di Londra, tra le giacche scure dei broker e gli abiti talari dei cardinali, c’è perfino spazio per un affaire di famiglia. Un capitolo dell’inchiesta viene infatti dedicato alla generosità di Becciu, mostrata prima nei confronti di suo fratello Antonino che ha ricevuto «versamenti non inferiori a 225mila euro» indirizzati alla sua cooperativa Spes Coop Sociale, e poi verso l’amica e collaboratrice, Cecilia Marogna, la giovane imprenditrice che, intervistata da Giorgio Mottola per Report, ammette «di aver fatto dossieraggio per conto di Becciu sulle condotte amorali di alcuni prelati».
Marogna ottiene un incarico dalla Segreteria di Stato come analista geopolitico e si presenta con la società slovena Logsic Humanitarne Dejavnosti per svolgere assistenza sociale e residenziale finanziata dalla Segreteria di Stato. In realtà la donna, insieme a Becciu, si sarebbe appropriata indebitamente di fondi per almeno 575mila euro, parte dei quali sarebbero stati utilizzati per acquistare beni di lusso di marchi come Poltrona Frau, Prada, Chanel, Tod’s. L’esito delle indagini, che tiene insieme tutto il variopinto ventaglio delle miserie umane, viene non a caso definito dai promotori di giustizia «sconfortante, perché gran parte delle attività di investimento effettuate negli anni sono avvenute drenando ingenti quantità di somme raccolte dall’Obolo di San Pietro», il dono che la comunità dei fedeli affida alla Chiesa per soccorrere i poveri e promuovere la giustizia sociale.