la Repubblica, 2 luglio 2021
Ecatombe da Covid-19, Bergamo e Brescia a processo contro le istituzioni
BERGAMO - Più di duemila pagine per portare lo Stato alla sbarra: governo, ministero della Salute e Regione Lombardia. Duemila pagine ovvero una mole di documenti, stralci di verbali, valutazioni, rilievi. E storie. Storie di morti di Covid. "Migliaia di bergamaschi e bresciani sono stati mandati a morire dalla politica", dalle negligenze e dal malfunzionamento di "un sistema che di fronte alla pandemia si è fatto trovare impreparato e non ha saputo proteggere i cittadini". Parole dei legali che rappresentano 500 familiari di vittime del coronavirus e che, a partire dall’8 a luglio, a Roma, si giocheranno queste carte nel processo civile per chiedere giustizia sulla "strage lombarda": l’ecatombe causata dal virus nelle terre più colpite. Con epicentro proprio le province di Bergamo e Brescia.
"VIOLAZIONI DI LEGGE"
"La causa civile chiama in causa le responsabilità trasversali della politica e delle istituzioni e chiede che si assumano le proprie responsabilità davanti ai cittadini che erano chiamati a proteggere e tutelare e di cui, invece, hanno violato sia il diritto alla salute sia quello alla vita". Ecco, in sintesi - nelle parole dell’avvocato Consuelo Locati - in che cosa consiste l’offensiva delle famiglie che hanno depositato centinaia di denunce in procura. "Si tratta di un lavoro di ricerca certosina, a partire dal piano segreto ai verbali della Task force, e che evidenzia uno stato protratto di negligenze ed omissioni oltre che di violazioni di legge". Mariti, mogli, figli, nipoti, fratelli e sorelle: le carte di cui Repubblica dà conto si aprono con un lungo elenco di nomi e cognomi, gradi di parentela e date di nascita. Ma soprattutto di morte. È un pezzo di contabilità della Spoon River lombarda, dalle valli bergamasche alla Bassa bresciana: 23 febbraio 2020 l’innesco ufficiale della bomba dei contagi. Anche se, come spiega il virologo Andrea Crisanti, nella veste di consulente della Procura di Bergamo, "il Covid era presente ad Alzano Lombardo (primo focolaio bergamasco, ndr) già dall’11 febbraio". Dietro la strage silenziosa ci sono responsabilità? Di chi?
NESSUN MIGLIORAMENTO
Premessa importante. All’azione legale di massa aderiscono anche eredi delle persone decedute nella "seconda e nella terza fase pandemica": vale a dire vittime del periodo ottobre 2020 - maggio 2021. Il motivo? "Nulla è stato migliorato - si legge nell’atto di intervento del pool difensivo - per quanto riguarda la gestione della pandemia nelle fasi successive a maggio 2020. E questo nonostante le istituzioni convocate in giudizio fossero e siano a conoscenza dell’assoluta inesistenza di un piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia adeguato alla decisone del Parlamento europeo (del 2013) e alle linee guida Oms successive all’anno 2013". Il link porta dritto alla questione del piano pandemico nazionale. Quella scaturita dal rapporto redatto dall’ex ricercatore Oms, Francesco Zambon, e finito in mano ai magistrati di Bergamo, che per primi hanno iniziato a indagare sulla gestione sanitaria della pandemia.
Punto centrale sono le "autovalutazioni gonfiate - vengono definite così - mandate negli anni sia all’Oms che all’Unione europea sullo stato della preparazione pandemica". Preparazione che, secondo i legali delle 500 famiglie, era "inadeguata, ove addirittura inesistente".
I VERBALI DELLA TASK FORCE
Ventidue gennaio 2020. Al ministero della Salute viene istituita la task force contro il maledetto virus arrivato dalla Cina. Fino al 21 febbraio 2020 (primo caso Covid a Codogno, ndr) la task force redige dei verbali. Il 7 giugno 2021 il ministero è obbligato a inviare tali verbali. "Solo tali documenti - è scritto nelle 466 pagine dell’atto di intervento - basterebbero per rendere provate le responsabilità omissive delle istituzioni, dal ministero della Salute alla presidenza di Regione Lombardia". Perché? Ecco la versione che sarà al centro del processo al tribunale civile di Roma. "Il 7 febbraio 2020 l’Istituto superiore di sanità dichiara che non c’è circolazione del virus in Italia (...) e l’11 febbraio reitera che in Europa il virus non circola". Peccato che l’Iss sapeva. Sapeva che "il virus era già presente in Italia almeno dalla presenza dei due turisti cinesi dal 18 gennaio 2020". Sapeva che "il 7 febbraio era stato individuato un paziente italiano positivo ma asintomatico e che il giorno dopo nel nostro Paese c’erano già tre casi di positività". Sapeva ancora - è scritto nel verbale dell’8 febbraio 2020 - dei "due casi di Taiwan, pazienti transitati in Italia sul treno Italo sulla tratta Firenze-Roma (...) Grazie alla lista passeggeri è stato possibile rintracciare le persone venute in contatto coi due soggetti, in particolare una signora che aveva accusato un rialzo termico in conseguenza di un intervento chirurgico". E però: nessuna informazione - attaccano i legali - era passata rispetto anche solo ai due casi di Taiwan; una scelta dettata dalla decisione della task force di "tenere un profilo basso e non spaventare e allarmare la popolazione". Le massime autorità sanitarie italiane si limitano - è l’accusa mossa - a "registrare uno spot sull’importanza del lavaggio delle mani e suggerendo l’uso del gel in mancanza di sapone".
LE CIRCOLARI
Che cosa comunica l’Oms nelle circolari trasmesse agli Stati - e quindi alle istituzioni centrali e regionali - all’inizio del febbraio 2020, e dunque venti giorni prima che l’Italia scopra il primo contagio? E’ il 2 febbraio e il segretario generale afferma con certezza: "L’infezione asintomatica è rara e la trasmissione da parte dei casi asintomatici è rara. Queste situazioni non dovrebbero contribuire alla diffusione del virus in modo continuativo". Questo proprio nel giorno i cui l’Ecdc (European centre for disease prevention and control) "emanava una direttiva che sottolineava l’importanza proprio di tracciare gli asintomatici perché più pericolosi nella trasmissione dell’infezione". Insomma: una carambola. O forse un mezzo testacoda. I legali delle vittime Covid ipotizzano che forse "le istituzioni si erano accorte di non avere un piano pandemico adeguato e che era già stato dichiarato che il 18 febbraio 2020 si sarebbe ’riunito il tavolo di lavoro per l’aggiornamento del piano pandemico’ lavorando in ’sottogruppi per accelerare i lavori’". Un’accelerazione che sarebbe arrivata in clamoroso ritardo. Perché "l’allerta tempestiva ed immediata a seguito dell’individuazione di qualsiasi caso anomalo di infezione influenzale anomala era proprio una delle prime core capacities previste dal Regolamento sanitario Internazionale (Rsi), come modificato nel 2005, da eseguire immediatamente proprio per tutelare la vita e la salute dei cittadini". Eccola la prima, e forse più importante violazione "posta in essere dalle istituzioni convenute a processo". Quella relativa alla comunicazione del rischio previsto dall’Rsi, dall’Oms e dal Parlamento europeo. L’8 luglio il fischio di inizio della partita giudiziaria.