Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 03 Sabato calendario

Mille regole e il loro contrario. L’eterno comma 22 dei 5 Stelle



Si chiama M5S, ma si potrebbe anche chiamare Comma 22. Ricordiamo tutti il celebre paradosso del romanzo di Joseph Heller sulla guerra del Vietnam. Raccontava di un regolamento militare che, per l’appunto all’articolo 22, recitava così: «Può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo solo chi è pazzo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non può essere pazzo». Da allora, per dire di una soluzione impossibile, di un circolo vizioso inestricabile, si dice Comma 22. Oppure, se volete, Statuto a Cinque Stelle. Grazie alle cronache sul Corriere di Emanuele Buzzi, uno dei pochi ormai in grado di spiegare anche ai diretti interessati che cosa stia accadendo, seguiamo affascinati le contorsioni regolamentari del Movimento.



Cose del tipo: convocare elezioni di comitati direttivi subito sconvocate; per sganciarsi da Rousseau non si poteva votare su Rousseau, ora che non c’è più Rousseau si minacciano ricorsi se non si vota su Rousseau; per eleggere un capo politico ci voleva prima un elenco degli iscritti, ma solo un non iscritto (Conte) è riuscito a ottenerlo rivolgendosi all’autorità pubblica; c’è un Garante, ma anche un Comitato di garanzia, e questo potrebbe chiedere la revoca del Garante, però se non l’ottiene deve dimettersi.
Ma poi, alla fine, il simbolo è proprietà privata di Grillo: e allora di che parliamo? Le regole vengono costantemente cambiate, modificate, adattate. Diventano sempre più astruse e complicate, e perciò inapplicabili. Solo l’enigmistica pentastellata può spiegare come sia possibile che il periodo della Reggenza Crimi (che detta così sembra quella del Principe Giorgio in Inghilterra), cioè un regime che avrebbe dovuto essere di eccezione, stia quasi per eguagliare la durata della fase in cui il Movimento ha avuto un Capo politico, visto che Di Maio si è dimesso ormai un anno e sette mesi fa, prima del Covid.
Eppure, come nel regolamento militare del romanzo, anche la schizofrenia dello Statuto dei Cinquestelle, e l’uso a fini di lotta interna delle norme sui rimborsi, e lo stesso incubo legale del sistema delle espulsioni, non nascono a caso. Tutto questo dedalo di regole è stato concepito fin dall’inizio per separare il più possibile il Movimento dalla politica democratica, e preservarlo dalla conseguente «corruzione» che ne sarebbe derivata.
Innanzitutto bisognava impedire qualsiasi forma di dibattito interno, o addirittura di dissenso, sulle idee e sulle scelte da compiere. Poiché il Movimento è il popolo, i suoi parlamentari ne sono solo i «portavoce»: sull’«interesse generale» non si discute. È questa la ragione per cui il formidabile scontro in atto tra Grillo e Conte, potenzialmente in grado di distruggere il Movimento, non fa riferimento a nessun contenuto politico, disaccordo su programmi o alleanze, contrasto su leggi e norme. È un conflitto di potere che si nutre di se stesso e basta. Dove non si dovevano ammettere le correnti, ora non ci sono altro che correnti.
L’altro punto cardine era garantire al Movimento una gestione padronale, non solo carismatica ma proprio proprietaria, da parte del Co-Fondatore o Garante, detto anche Elevato. Il che rende praticamente impossibile che i Cinquestelle si trasformino in qualcosa di anche lontanamente simile a un partito, come voleva Conte; perché esclude che si possa scegliere ed eleggere un Capo che non abbia il beneplacito di Grillo. Perfino nello Statuto di Conte, che tra l’altro nessuno conosce, pare fosse del resto prevista la «carica a vita» del Garante, cioè un principio tipico delle monarchie ereditarie.
Adesso non sappiamo come finirà. Se questo strano partito personale si trasformerà in due partiti personali, e quello che doveva essere il M5S 2050 si dividerà in un M5bisS e in un M6S, la cui rispettiva forza elettorale sarà una frazione della metà di quella attuale del Movimento. O se nel ginepraio delle regole prevarrà quella non scritta secondo cui alla fine si fa come si vuole, e ci si accorda su un compromesso qualunque.
Sembra però davvero difficile, se non ormai impossibile, che ne venga fuori qualcosa di convincente per i sostenitori del Movimento; che comunque, pur con questi chiari di luna, naviga nei sondaggi ancora attorno al 15%. Il che conferma ciò che sapevamo fin dall’inizio: che il M5S non è una invenzione mediatica, che è nato da un bisogno politico reale seppur filtrato in quel diabolico laboratorio di formule che è il nostro Paese, inventore di tutto, dai Fasci di combattimento a Forza Italia, dalla Lega Nord ai Cinquestelle. Questo bisogno – di onestà, di pulizia, di rinnovamento – meritava interpreti migliori. E non sparirà, neanche se dovesse sparire il Movimento. Ecco perché le sorti del partito di maggioranza relativa, del più grande gruppo presente in Parlamento, non sono solo cosa loro, ma influenzeranno la tenuta politica del Paese in una fase cruciale della sua storia, e ne segneranno il futuro politico alle prossime elezioni: se la legge elettorale resterà quella attuale, il dissolvimento del M5S avrà l’effetto di regalare al centrodestra la più comoda e schiacciante delle vittorie.
Ma forse è troppo pretendere che i duellanti pentastellati alzino anche solo per un attimo gli occhi dagli statuti e dai codicilli, dalle regole e dalle piattaforme, per ricordare in nome di che cosa avevano chiesto e ottenuto i voti degli italiani.