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 2021  luglio 03 Sabato calendario

Intervista a Pasquale Tridico

«La ripresa? Stando ai numeri a disposizione dell’Inps c’è ed è molto robusta», spiega il presidente Pasquale Tridico, che dopo un anno particolarmente intenso di lavoro che ha visto esplodere la domanda di ammortizzatori e di sussidi, per oltre 15 milioni di beneficiari e 44 miliardi di prestazioni erogate in più rispetto a un anno prima, tira le somme e in questa intervista racconta qual è dal suo punto di vista la lezione del Covid, a partire dall’esigenza di arrivare a tutelare in maniera strutturale tutte le forme di lavoro, compresi i non subordinati e quelli della Gig economy e introdurre finalmente il salario minimo.
Presidente, l’Istat ci dice che l’occupazione risale. Voi all’Inps che numeri vedete?
«La ripresa c’è. Nei primi 5 mesi di quest’anno registriamo infatti un andamento molto positivo delle entrate, grazie ai contributi che versano le imprese: sono aumentate di oltre 5 miliardi, il 9,5% in più dello stesso periodo del 2020 e tornando quasi ai livelli del 2019. Ed in parallelo c’è una riduzione del 2,4% dei pagamenti (per un ammontare di 3,5 miliardi) per minori prestazioni, dalle pensioni, ai sostegni, agli ammortizzatori. Di fatto, con questi dati, il disavanzo di 7,1 miliardi segnalato da Civ si riassorbe fisiologicamente. Infatti, a mio parere, sarebbe più corretto evidenziare il disavanzo di parte corrente che è pari a 3,1 miliardi».
Ma la domanda di cassa integrazione come sta andando?
«La richiesta di Cig resta alta, perché le aziende nell’incertezza continuano a chiederla sebbene in maniera minore rispetto allo scorso anno. Non siamo ancora tornati al livello del 2019 ma nemmeno a quello del 2020. Poi un conto sono le richieste di autorizzazione ed un altro sono le ore effettivamente utilizzate, il tiraggio, che sono meno. L’anno scorso di Cig abbiamo speso oltre 18 miliardi, 20 volte in più rispetto al 2019, quest’anno il legislatore ne ha previsti solo 8».
Basteranno?
«Se il trend resta quello attuale e non riparte la pandemia i fondi sono più che sufficienti».
Come valuta l’accordo ponte su licenziamenti e nuova Cig per le aziende in crisi?
«Un approccio di gradualità adottato già ai tempi del governo Conte 2 è corretto. E Draghi è andato in continuità. Corretto essere prudenti e ragionare in termini di selettività, sia mandando al 31 ottobre le aziende più fragili (Fis e Deroga), sia liberalizzando i licenziamenti nelle aziende più grandi e tenendo anche qui un punto di attenzione su quelle che sono più in difficoltà».
Entro il mese avremo la riforma degli ammortizzatori. Avremo davvero una copertura universale strutturale?
«Questa è la lezione della pandemia: come con la cassa Covid occorre dare protezione sociale a tutte le attività, tutte le tipologie, tutte le aziende di tutte le dimensioni, sapendo però che ci sono aziende che non utilizzeranno mai – se non in situazioni molto particolari, tipo Covid – gli ammortizzatori, ed altre che come le costruzioni la utilizzano in base ai fenomeni metereologici. Si tratta, e non sarà facile, di catturare questi estremi in una riforma che vuole giustamente essere universale. Perché tutti i lavoratori devono avere la cassa integrazione o comunque un sussidio di copertura, ma tutti devono pagare in base al rischio di ricorrere effettivamente alla cassa perché altrimenti in un sistema mutualistico il pericolo è quello di aumentare il costo del lavoro».
E come se ne esce?
«L’idea che si sta trovando col ministero del Lavoro ed i tecnici del nostro istituto è quello di mettere a punto un modello che abbia una aliquota contributiva più alta per le aziende che sappiamo che fanno ricorso alla cassa integrazione e più bassa per chi non ne fa ricorso, con una aliquota addizionale (che è quella che si paga quando si accede in concreto alla Cig) con funzione disincentivante. In questo caso un poco più alta per le aziende che in situazione ordinaria non vi ricorrerebbero, mentre resterebbe quella attuale per le altre».
E l’Iscro che avete appena lanciato a cosa serve?
«È un altro tassello, è un’altra lezione della pandemia che ci ha portato a tutelare anche i lavoratori autonomi, i professionisti iscritti alla gestione separata. È un primo passo, fatto in emergenza, ma l’obiettivo poi dovrà essere quello di estendere all’intera platea di non subordinati una indennità di tipo assicurativo. A regime dovrebbe interessare tutti i 4,2 milioni di autonomi».
E poi ci sono i lavoratori della Gig economy…
«I rider hanno chiesto meno sussidi, perché sono tra quelli che nell’ultimo anno hanno lavorato di più. Però, certamente, la protezione universale vale anche per loro».
Peccato guadagnino poco.
«Vero, per questo occorre prevedere un sistema di tutele e norme che possa spingere i salari verso un livello adeguato. E parlando di questo resto convinto che la soluzione resti quella del salario minimo. Che al contrario di quanto sostengono i sindacati, se vediamo esperienze come quella tedesca, un paese molto simile al nostro in termini di contrattazione, vediamo che il salario minimo non ha spiazzato il mercato e non ha avuto effetti controproducenti sulla contrattazione sindacale. Perché va a coprire esattamente quelle fasce di lavoratori che non sono contrattualizzati e che anzi oggi, soprattutto nel nostro Paese, sono colpiti da una contrattazione che porta i salari al ribasso, a partire dai cosiddetti “contratti pirata"».
Bisogna fare più controlli.
«Questo purtroppo è un ulteriore problema. Nel 2015 è stato creato l’Ispettorato nazionale del lavoro, ma è una scelta che andrebbe rivista. È giusto che ci sia un coordinamento, ma bisognerebbe ridare anche all’Inps, che ha specifiche conoscenze e competenze ispettive, la possibilità di assumere; questo aumenterebbe l’efficacia dei controlli. Nel 2015 avevamo 1.250 ispettori mentre oggi siamo scesi sotto mille. Col risultato che da 1 miliardo di contributi recuperati dall’evasione siamo scesi a 850 milioni. Su questo insisto da mesi: devono darci la possibilità di tornare ad assumere ispettori».
Nell’anno delle riforme alle pensioni che succede? Si riuscirà finalmente a separare assistenza e previdenza?
«C’è una commissione che sta lavorando, in cui è presente anche Inps, e sta producendo cose molto interessanti. In principio, e seguendo l’impostazione internazionale e l’approccio teorico, penso che tutto ciò che è erogato sulla base della cosiddetta “prova dei mezzi”, per aiutare chi sta sotto una certa soglia di reddito, è assistenza. Questo vale per il reddito di cittadinanza ma anche per molte partite “pensionistiche”, dall’invalidità all’assegno sociale alle integrazioni al minimo. Non è un lavoro facile fare ordine ma dovremmo farcela abbastanza rapidamente e fare finalmente chiarezza di fronte alle organizzazioni internazionali su queste spese».
A fine anno finisce Quota 100. Poi che succede?
«Dopo Quota 100 in Italia non c’è il deserto perché abbiamo 13 forme di anticipazione pensionistica. Bisogna approfondire quelle che già ci sono, a partire dall’Ape sociale. Oltre a questo, visto che siamo in un sistema misto retributivo/contributivo, ho proposto la possibilità di lasciare il lavoro in anticipo uscendo a 62-63 anni ma ottenendo solo la parte contributiva dei versamenti e quindi aspettare i 67 per il resto. In questo modo assicuriamo un meccanismo di flessibilità ma al tempo stesso non creiamo problemi di sostenibilità ai conti. Quanto all’Ape sociale bisogna lavorare su gravosi e usuranti, eventualmente rivedere l’intera platea e poi ragionare sull’aspettativa di vita. Che non è uguale per tutti: molti studi ci dicono che chi percepisce un reddito basso vive qualche anno in meno rispetto ai redditi più alti e quindi per queste fasce, nell’ottica dell’equità e della sostenibilità, qualche correzione può essere prevista»