Il Messaggero, 3 luglio 2021
Intervista a Javier Cercas
«La letteratura è essenziale per capire il male. È utile in questo senso se non si pone un ruolo pedagogico. Scrivere un romanzo equivale a formulare una domanda nella forma più complessa possibile. È un piacere e una fonte di conoscenza come il sesso».
Nello scenario sempre suggestivo della Basilica di Massenzio per il Festival letterature l’autore spagnolo Javier Cercas ha fatto risuonare le parole che muovono la ricerca del nuovo progetto letterario Terra Alta insignito del premio Planeta, considerato come il Nobel iberomericano. Indipendenza (Guanda, 403 pagine, 19 euro, traduzione di Bruno Arpaia), appena pubblicato in Italia, è il secondo dei probabili cinque romanzi che comporranno il ciclo ambientato nella natia Catalogna tra Barcellona e la periferica Terra Alta.
Melchor Marín, il personaggio intorno al quale Cercas ha costruito i romanzi, torna nella sua Barcellona. Marin ha le sembianze oscure dell’agente di polizia che a Cambrils riuscì a uccidere quattro terroristi in fuga dopo gli attentati del 2017 e poi scomparve sotto protezione. Stavolta Marin investiga sull’estorsione a sfondo sessuale della sindaca di Barcellona, toccando i gangli del potere in Catalogna.
C’è una punta di provocazione nel titolo che ha scelto per il romanzo?
«Sì. In Catalogna i secessionisti, come i sovranisti in altre zone dell’Europa, si sono appropriati di parole nobili e di valore come indipendenza, libertà e democrazia per manipolarle e distorcerne il senso. D’altra parte, se vuoi prenderti la realtà devi conquistare prima il linguaggio. Ora bisogna liberarlo».
Che cosa la colpisce della parola indipendenza?
«Mi piace perché è polisemica ed è di una grande ambiguità. Assume molti significati. Come diceva Umberto Eco, non esiste letteratura senza ambiguità e sosteneva che il titolo più bello fosse I tre moschettieri, quando in realtà erano quattro, e il quarto D’Artagnan era il più importante».
Il protagonista, Melchor Marin, è un eroe?
«La definizione di eroe spesso imprigiona i personaggi e le persone, ponendole in un mondo irraggiungibile ai mortali. Melchor è complesso, contraddittorio, pieno del desiderio di vendetta. Ha avuto una vita molto difficile. La madre era una prostituta, non conosce il padre. È venuto al mondo nella parte più violenta di Barcellona. Al contempo emana una luce forte. Lo definirei un buon cattivo poliziotto come allo stesso tempo Don Chisciotte è pazzo, lucido, ridicolo o eroico».
A proposito di vendetta. La domanda centrale dei primi due romanzi del ciclo Terra Alta sembra essere: è legittima la vendetta quando la giustizia non si compie?
«Nella realtà la vendetta non è mai legittima. Come afferma un vecchio poliziotto in Terra Alta, chi non osserva le forme della giustizia non la rispetta. La letteratura però mette in discussione le nostre più radicate certezze. La letteratura aiuta a far uscire la parte maledetta di noi. È il luogo del male. Sono una persona ragionevole, ma anche dentro di me convivono la furia, il dolore. Voglio mettere a disagio il lettore e interrogarlo sull’utilizzo illegittimo della violenza».
Tra la vittima e il carnefice chi sceglie di raccontare?
«È molto più importante capire il carnefice per combatterlo e proteggersi dal male».
È sempre il fascino del male?
«I cattivi ci affascinano di più per il grado di comprensione che richiedono».
Parlando di cattivi, la sua invettiva contro l’élite politica ed economica catalana è quasi furiosa.
«Nel romanzo descrivo l’ambiente del secessionismo catalano con la sua élite che ha utilizzato il potere con un esclusivo interesse personale e ingannato tantissime persone. Oggi l’indipendenza è un’idea infantile e ridicola nell’Europa attuale. È rimasto solo il suo mito: siamo interdipendenti».
Qual è il segreto di Terra Alta?
«Lì è stata combattuta la battaglia dell’Ebro, la più dura e sanguinosa della Guerra civile spagnola. È una zona nel Sud della Catalogna solitaria, un po’ povera, che diventa per Melchor una patria sentimentale. La patria assume il senso del luogo in cui troviamo la nostra pace».
Che cosa risponde quando le dicono che ha scritto un giallo?
«Borges sosteneva che tutti i romanzi sono gialli e concordo con lui».