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 2021  luglio 03 Sabato calendario

Orsi & Tori

Export italiano nel primo trimestre 2021 verso:
la Francia +11,8%
la Germania +6,8%

la Svizzera +8,8%
la Cina +51,1%
E la Cina ha celebrato giovedì 1° luglio i primi 100 anni del Partito comunista (Pcc) con un discorso senza veli, con toni pesanti, del presidente Xi Jinping, nella Piazza Tienanmen: «Il popolo cinese non permetterà mai ad alcuna forza straniera di bullizzarci, costringerci e renderci schiavi: chiunque tenterà di farlo, si romperà sicuramente la testa sulla Grande Muraglia d’acciaio costruita con il sangue e la carne di 1,4 miliardi di cinesi…». «…Il grande ringiovanimento della nazione è un percorso storico irreversibile» con il Pcc indispensabile ad attuare la svolta dopo un «secolo di umiliazione» per invasioni imperiali e conflitti interni. «La Cina ha raggiunto la costruzione di una società moderatamente prospera in tutti gli aspetti». Una società moderatamente prospera è il primo dei due obiettivi del centenario: il secondo, invece, è quello di trasformare la Cina in un grande paese socialista moderno a tutti gli effetti. «Il popolo cinese», ha aggiunto Xi, «non è solo stato bravo a distruggere il vecchio mondo, ma anche a costruirne uno nuovo». Mai citati gli Stati Uniti, né altri Paesi del blocco Atlantico. Quindi neppure l’Italia, l’unico Paese del G7 ad aver firmato il memorandum per La nuova via della Seta, il percorso ideale per collegare Occidente e Oriente. Come i lettori di queste pagine hanno potuto leggere due sabati fa, la posizione dell’Italia espressa dal presidente Mario Draghi è precisa: con la Cina cooperazione-competizione, senza sottacere giudizi sul suo autoritarismo. La cooperazione-competizione nei primi tre mesi dell’anno ha fatto segnare uno straordinario balzo dell’export delle aziende italiane. Può l’Italia farsi condizionare dalle posizioni dure espresse sulla Cina dal presidente americano Joe Biden? Per fortuna, neppure per gli Stati Uniti alle parole seguono i fatti. Dopo i discorsi duri al G7, alla Nato, alla Ue, il nuovo capo della Casa Bianca in realtà cerca un incontro con Xi Jinping. Probabilmente avverrà proprio in Italia in occasione del G20, di cui la Cina è membro da tempo e con la quale, come ospitante, il presidente Draghi ha già annunciato un pieno dialogo, ma appunto con competizione. È possibile oggi competere con la Cina? Questa è una domanda chiave, specialmente dopo quel balzo enorme dell’export italiano nei primi tre mesi dell’anno. La specializzazione manifatturiera, gli elettrodomestici, la metallurgia, i mobili e gli alimentari superano i volumi pre-Covid un po’ dovunque, ma la Cina fa complessivamente +51,1%. Finalmente, si potrebbe dire, perché negli ultimi anni l’export cinese in Italia era sempre superiore all’export italiano. Per questa svolta, conta proprio quel Memorandum firmato e sottolineato dalla visita del presidente Xi in Italia, a Roma e Palermo, nel 2019, che facevano seguito a un viaggio ufficiale del presidente Sergio Mattarella. È stato questo il risultato dell’intenso e ottimo lavoro fatto in quegli anni dall’ambasciatore a Pechino, Ettore Sequi, diventato poi capo di gabinetto del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dal 12 maggio segretario generale del ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale. Non credo che il presidente Draghi, nonostante atlantista autentico, voglia cambiare linea. Anche perché è Biden che cerca il dialogo, dopo le parole di fuoco a cui ha risposto per le rime il presidente Xi nel discorso per i 100 anni del Pcc. Dopo il faccia a faccia con il presidente russo Vladimir Putin, Biden sta appunto lavorando per un faccia a faccia con il presidente Xi. Conta poco se avverrà a Roma o altrove. La duttilità, dietro le parole dure, passa attraverso il concetto di bilateralismo all’interno del multilateralismo. Passa anche attraverso la composizione all’interno del G20, che incorpora di fatto il G7. E in realtà, nel contesto della rivoluzione tecnologica in atto, nessuno dei principali Paesi del mondo può fare completamente a meno dell’altro. E quasi nessuno, anzi nessuno, può fare a meno di dialogare con la Cina, sia pure, anzi essenzialmente, nel concetto di competizione. Perché la Cina sta sviluppando, nell’era della tecnologia, la tecnologia migliore più di qualsiasi altro Paese, come sanno i lettori di queste pagine, dove ha scritto il professor Mario Rasetti, guru assoluto del big data, da solo e di recente assieme al professor Alessandro Arduino dell’Università di Singapore e co-direttore del security & crisis management international center all’Academy of social sciences di Shanghai. Tutto parte dai dati e dalla capacità di elaborarli nel minor tempo possibile e nella maniera più adatta per applicarli all’intelligenza artificiale. È qui che la Cina ha un vantaggio assoluto: nel Paese ci sono come minimo 1,2 miliardi di schede telefoniche, che operano tutte con Wi-Fi e come minimo 5G. Gli Stati Uniti hanno non 1,4 miliardi di abitanti, ma 300 milioni e anche se tutti avessero una scheda collegata, non potrebbero assolutamente avere a disposizione la quantità e la varietà dei dati della Cina. A parte questo divario, oggi la competizione è sui computer per elaborare tutti i dati. E, considerata la quantità dei dati, sono necessari computer cosiddetti quantistici. Si sa che gli Stati Uniti hanno scelto la così detta tecnica a bassa temperatura: doveva raggiungere una potenza di 62 qubit; in realtà è arrivata a 53 qubit. Comunque, nel 2019 Google ha annunciato che un computer quantistico aveva completato un calcolo da 10 mila anni in appena 200 secondi. La Cina ha fatto sapere di aver puntato sulla tecnologia ottica e che grazie a questa scelta ha superato l’obiettivo, non raggiunto, degli Usa, arrivando a 64 qubit. Come si vede una sfida straordinaria, che ha conseguenze in tutti i settori della vita. Ci sono poi le problematiche dell’insicurezza informatica, che si combatte con la cyber security. Chi è più avanti in questo campo? Non è chiaro. L’unica certezza è che l’Italia è indietro perché solo poche settimane fa, su impulso dei ministri tecnologici, Roberto Cingolani e Vittorio Colao, e del sottosegretario alla Sicurezza, Franco Gabrielli, è stata costituita l’Agenzia per la cybersecurity. Si dice: ma la Cina è un Paese antidemocratico o più morbidamente autoritario. È vero, ma… La Cina, per scelta del vero fondatore della Nuova Cina, Deng Xiao Ping (che pure ha mantenuto volutamente sempre il titolo di vicepresidente, pur avendo tutti i poteri) dal 1978 è riuscita a fondere comunismo e capitalismo. Al potere è sempre il Pcc, con la formula per cui il segretario generale del partito è anche il presidente del Paese, e così la Cina è passata dalla fame della stragrande maggioranza dei cittadini a un livello «moderatamente prospero». E The Economist, il media sempre più acuto e misurato, ha scritto nel suo numero dedicato ai 100 anni del Pcc, che nessun’altra dittatura (sia pure del popolo), «è stata in grado di trasformarsi da una catastrofe di carestia, come la Cina è stata sotto Mao Zedong, nella seconda economia più grande del mondo, le cui tecnologia e infrastruttura sono all’avanguardia… I cinesi sono gli autoritarismi di maggior successo del mondo». Dopo il successo della politica introdotta da Deng, il Paese aveva subito un riflusso concretizzatosi anche in molta corruzione. L’ascesa al potere del presidente Xi, con il terzo apporto del proprio pensiero nella Costituzione, come era avvenuto solo con il fondatore Mao e il vicepresidente Deng, è ritornata l’ideologia comunista originaria, ma senza abbandonare il capitalismo in economia. Unica correzione, per frenare le ricchezze, il presunto potere crescente dei ricchi, un controllo stretto sulle aziende di successo. Così Alibaba, come molte altre società, ha potuto quotarsi a Wall Street, ma quando è apparso al governo che il potere del fondatore Jack Ma stesse diventando eccessivo, il presidente Xi, attraverso l’apparato, è intervenuto. E Ma si è ritrovato per un periodo di tempo non più visibile, quasi sicuramente in una delle residenze, accoglienti ma dalle quali non ci si può muovere, che mi portò a visitare uno degli ultimi ambasciatori italiani a Pechino. Non carceri, ma residenze comode per far meditare gli ospiti. E per altro, le regole del capitalismo stanno operando per uno dei più famosi gruppi cinesi anche in Italia, Suning, proprietario dell’Inter e posseduto dalla famiglia Zhang Jindong. Avendo fatto il passo più lungo della gamba, ora il gruppo sta per entrare in una situazione simile all’amministrazione controllata, con il probabile subentro di altri azionisti. Una delle modifiche, non la più significativa, approntata alla costituzione dal presidente Xi, è stata la limitazione di due mandati quinquennali per il segretario generale del Pcc e quindi presidente della Cina. Oggi non ci sono limiti. Ma ciò creerà un vantaggio enorme rispetto ai Paesi democratici visto che la pianificazione cinese può essere a 30 anni e specialmente nell’era della più grande rivoluzione tecnologica della storia ciò evita gli sbalzi che si verificano inevitabilmente, per esempio, negli Usa, con il passaggio da 4 anni di presidenza di Donald Trump a quella attuale di Biden. Ciò permetterà alla Cina di crescere ancora di più degli altri Paesi. È lodevole questa situazione. Assolutamente no in base ai principi e criteri di una democrazia, anche la più giovane. Ma è una realtà che può trovare un’unica giustificazione: il tempo per far scomparire completamente la fame e far maturare gli enzimi democratici nel popolo, oltre alla necessità di governare non 300 milioni di persone ma 1,4 miliardi di individui, ancora molti dei quali nati nel regime maoista. Si può essere sicuri che il presidente Xi punterà a questa evoluzione e non a un potere lungo dittatoriale? La maggiore garanzia è che quando in un Paese si introducono criteri e regole capitalistiche, quando vi fanno nascere borse, banche private e appunto un numero molto alto di super ricchi, diventerà sempre più difficile tornare indietro. Con Xi la Cina sta compiendo un altro grande balzo, grazie soprattutto alla tecnologia. Ma soprattutto, giorno dopo giorno, è sempre più il maggior mercato del mondo. Per i Paesi democratici e capitalistici non è possibile e non sarà mai possibile ignorare questa realtà. La formula giusta, quindi, nei rapporti con la Cina è quella del presidente Draghi: cooperare nella competizione. Essendo pronti e vigilanti per il momento in cui Xi decidesse per sua sponte o meno di lasciare il potere. Il momento di maggiore instabilità sarà probabilmente quello della sua successione, che tuttavia nessuno sa quando avverrà. Intanto, non solo per il fondamentale apporto che può venire all’Italia dall’export in Cina, ma anche per due importanti operazioni di investimento di capitali cinesi in Italia, non è certo opportuno litigare con il governo cinese. La prima operazione riguarda la creazione nella Motor Valley emiliana della fabbrica per produrre le super car elettriche, frutto dell’alleanza fra la cinese Faw e l’americana Silk Ev. Guarda caso, per fortuna, gli americani si alleano con i cinesi in Italia, dove la qualità e le professionalità della Motor Valley emiliana fanno premio su tutto. L’operazione è importantissima, perché si tratta di un investimento da zero, che creerà posti di lavoro, cioè una tipologia di investimenti definiti greenfield, perché si parte da zero e non dall’acquisizione di un’altra realtà. Il secondo è un investimento di capitali in un gruppo già esistente e qualificato come Pirelli, dove la famiglia Tronchetti Provera rafforza la sua quota attraverso l’ingresso nella holding Camfin, che controlla Pirelli, con l’apporto del 4% di azioni Pirelli da parte del miliardario Yishun Niu. Quando i cinesi entrarono in Pirelli con una quota di maggioranza, Marco Tronchetti fece il miracolo, nel rispetto che ha per l’Italia e i posti di lavoro, di imporre a Chem China di accettare uno statuto che impediva, se la società cinese non avesse superato il 90% del capitale/operazione (impossibile data la presenza di banche italiane e della stessa Camfin), di trasferire sia la sede che la tecnologia fuori dall’Italia. Ora Tronchetti ha fatto di più: in società con un miliardario cinese è arrivato a una quota diretta in Pirelli di circa il 20%, cioè di ampia sicurezza. La dimostrazione palese che con abilità e senso di rispetto dell’Italia, con i cinesi e con la Cina si possono fare affari nell’interesse del Paese.