la Repubblica, 2 luglio 2021
Chi sarà il regista della corsa al Colle
Cosa rende così indecifrabile la prossima elezione del presidente della Repubblica (gennaio 2022), al punto che il segretario del Pd si è rammaricato a proposito di certi «accordi con Conte» buttati all’aria dall’esplosione dei 5S? Certo, come hanno scritto alcuni osservatori, un Parlamento in cui si aggirano i rottami di un partito frantumato difficilmente eleggerà in concordia il capo dello Stato. Ma la vera questione che s’intravede all’orizzonte, la più importante, riguarda chi sarà il “grande elettore” del prossimo presidente. Ossia chi saprà indossare i panni del regista e gestire la seduta comune di Camera e Senato, quali che siano le difficoltà e le crepe profonde tra le forze politiche o all’interno di esse.
Si può dire che ogni elezione o quasi – le eccezioni sono poche – ha avuto il suo regista, colui che “fa il re” e di fatto lo incorona. Per ricordare solo alcuni precedenti, nel 1985 il grande elettore di Cossiga fu De Mita (e chissà se ebbe modo di pentirsene). Nel 1992 la tormentata vittoria di Scalfaro nacque da un’intesa in extremis tra la Dc e Occhetto. Nel ’99 Ciampi fu riconoscente a D’Alema e Veltroni. Sei anni fa il regista che orientò il voto su Mattarella fu Matteo Renzi, allora sulla cresta dell’onda. E oggi? Le manovre che s’intravedono dietro le quinte sono volte proprio a definire prima degli altri il ruolo di grande elettore, occupando in anticipo quella casella.
Non stupisce allora il rammarico di Enrico Letta, semmai meraviglia che si sia lasciato sfuggire un accenno così esplicito alle intese – non trasmesse via streaming – intercorse con l’avvocato del popolo prima del big bang grillino. Il segretario del Pd sa di non poter essere da solo l’architetto del Quirinale. Di conseguenza il patto con colui che fino all’altro giorno era il pretendente alla leadership dei 5S aveva una logica: creare una massa critica in grado di mantenere nell’alveo del centrosinistra il bandolo della matassa quirinalizia.
Del resto la tradizione dice che negli ultimi decenni la presidenza della Repubblica è sempre stata appannaggio di uno stesso schieramento, appunto il centrosinistra, attraverso diversi filoni politici: sinistra cattolica, ex Pci, azionisti, socialisti (se vogliamo risalire a Pertini). Fa eccezione Scalfaro che però diede una forte impronta anti Berlusconi al suo settennato.
Ora la continuità rischia di spezzarsi, a meno che i 5S trovino il modo di incollare i loro cocci. Ma anche in quel caso le ambiguità tenderanno ad affiorare a ogni piè sospinto. Quindi l’interrogativo si ripropone: chi sarà il grande elettore del 2022? Può sembrare paradossale, ma al momento la figura di tessitore più idonea (se non l’unica) è quella di Mario Draghi. Non dispone di una forza politica propria, ma questo è un vantaggio, trattandosi di legare insieme una serie di fili spezzati e di dare coesione ed equilibrio a un sistema che ne è ormai privo. In fondo è quello che Draghi fa già oggi da Palazzo Chigi. Naturalmente questo non significa che egli voglia essere il grande elettore di se stesso (lo vedremo più avanti: tanti, come è noto, si augurano che il premier resti alla guida dell’esecutivo). Significa però che il regista del Quirinale potrebbe essere un uomo dotato di senso politico eppure estraneo a un sistema partitico decadente e finora incapace di auto riformarsi.