Corriere della Sera, 1 luglio 2021
Il Tour, una valle di lacrime dove succede sempre qualcosa
Il Tour de France è una valle di lacrime. Piangono di dolore i corridori vittime di troppe cadute (il groviglio di biciclette «fa parte del mestiere», poi ci sono le strade strette, l’alta velocità, lo spettatore cretino).
Piange in testa alla classifica Mathieu van der Poel, ricordando il nonno, il mitico Pou-Pou, l’eterno secondo, quel Raymond Poulidor che se ne era andato da questo mondo senza aver indossato nemmeno per un giorno la maglia gialla. Se n’era andato sperando che il nipote gli restituisse una po’ di quella gioia che il suo grande rivale, Jacques Anquetil, gli aveva sempre negato. Piange Mark Cavendish, dopo aver vinto la quarta tappa, la Redon-Fougères, e sono lacrime di liberazione, mentre tutti, compagni e avversari, si stringono a lui per complimentarsi. Non vinceva una gara dal 2018, non conquistava una tappa in un grande giro dal 2016. Dicevano fosse finito: per partecipare a questo Tour ha dovuto trovare uno sponsor personale che gli pagasse l’ingaggio.
Piange Brent van Moer che nella tappa vinta da Cavendish era arrivato solo a 200 (duecento!) metri dal traguardo. In cuor suo sognava una vittoria, dopo aver piantato in asso i suoi compagni di fuga. Lo striscione d’arrivo era ben visibile, a un soffio, quando la muta degli inseguitori lo ha sorpassato a una velocità folle: le sue gambe si sono indurite dalla fatica e dalla disillusione.
Nelle prime tappe di una corsa a tappe, salvo incidenti, non succede mai qualcosa di straordinario. Nel gergo si dice che sono corse per velocisti, servono a scaldare i muscoli prima delle montagne. E invece succede sempre qualcosa: magari per un attimo, magari nelle pieghe di una corsa che ormai possiamo seguire dalla partenza all’arrivo, comodamente seduti sul divano di casa. Anche Ulisse pianse nel sentire cantare le gesta sue e degli altri Greci. Solo Alcinoo, re dei Feaci, se ne accorse ma non disse nulla.