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 2021  luglio 01 Giovedì calendario

Ritratto di Livio Garzanti

«È un ossimoro», disse di lui Gina Lagorio, sua seconda moglie, che sapeva come gestirne le abissali infelicità. Gli sono stati applicati gli aggettivi più disparati: dispotico e generoso, iracondo e sensibile, disincantato e passionale, caustico e amabile. Livio Garzanti, di cui oggi ricorrono i cento anni della nascita (morirà 93enne a Milano nel 2015) è stato un genio dell’editoria che avrebbe voluto far altro, il filosofo, lo scrittore. Diceva di odiare a tal punto la casa editrice che aveva reso grande da confidarmi a giorni alterni, nell’anno e mezzo che ho lavorato con lui, il suo sogno più caro: avesse trovato qualcuno che le dava fuoco, gli avrebbe dato dieci milioni. «Ho fatto dell’antipatia quasi un mestiere», sogghignava. Ma quando voleva conquistarti diventava irresistibile.
Il ritratto migliore che abbiamo di lui ce lo ha lasciato Goffredo Parise, suo dipendente nei primi anni 50, ne Il padrone (1966), feroce romanzo-favola alla Swift: «Era un uomo giovane, vestito di un abito scuro da vecchio, dal volto fine e pallido, strizzato, rimpicciolito da qualcosa di doloroso e di ineluttabile come una malattia inguaribile. Gli occhi chiari e ghiacciati erano chiusi dentro una fessura e da quella fessura guardavano. La bocca piccola, femminile e quasi senza traccia di labbra appariva segnata tutto intorno, soprattutto agli angoli, da una secrezione biancastra che forse conteneva il segreto della sua tristezza. Eppure quel volto, quegli occhi, quelle mani e in generale tutto il suo aspetto erano quelli di un uomo molto puro, uno studente romantico, un giovane idealista che rincorra altri ideali di ordine e di simpatia».
Suo padre Aldo, forlivese, amico di Mussolini, aveva rilevato nel 1939, all’indomani delle leggi razziali, la prestigiosa Fratelli Treves, l’editrice di Verga, ma la ricchezza della famiglia veniva dalla chimica, dai contratti di esclusiva con l’americana Dupont. Ricchezza mai esibita, anzi accuratamente occultata sotto un abito di sobrietà, non fosse per il gran palazzo tra via Senato e via della Spiga, progettato da Gio Ponti, così grigio e triste che sembrava uscito da un quadro di Sironi. Con questo padre ingombrante era stato subito scontro, ma il giovane Livio, laureato in filosofia con Antonio Banfi e studioso di Platone, aveva trovato un solido appoggio nella madre Sofia Ravasi, raffinata francesista e leopardista, da cui doveva aver ereditato l’affilatissima intelligenza.
Costretto suo malgrado a occuparsi della Garzanti, il trentenne neoeditore aveva subito fatto il botto, pubblicando a raffica lo scandaloso Ragazzi di vita di Pasolini, il Pasticciaccio di Gadda (sapientemente blandito e minacciato affinché si decidesse a consegnare), Parise e Volponi. Sapeva mettere insieme l’alta letteratura e i romanzi di sicura presa commerciale (Love story di Segal, Spillane, Fleming), la saggistica di qualità (Magris, tra i tanti), gli svelti manualetti di «Saper tutto» curati da Citati e le grandi opere che offrivano un prezioso servizio pubblico: la Letteratura italiana di Cecchi e Sapegno, gli impeccabili dizionari, le aggiornatissime Garzantine, i «Grandi libri» perfettamente equipaggiati, l’innovativa Enciclopedia Europea, investimento colossale: 20 miliardi di lire, 80 redattori interni, 2600 collaboratori – tra cui molti Nobel – sparsi per il mondo, tredici anni di lavoro. Tutto cucinato in casa, con scrupolo maniacale.
Rintanato in uno studiolo occupato quasi per intero da un tavolino del Seicento sgombro di carte, si vantava di non avere cariche ufficiali e di non leggere i bilanci, ma sorvegliava tutto. Era sempre lì, a discutere le scelte, a tormentare i redattori, mai contento dei contributi che arrivavano. Dava del lei a tutti, Pasolini compreso. Si faceva quasi un merito di non avere amici, ma aveva ingiunto al suo dirigente Silvio Riolfo di dargli del tu, perché così poteva dire di avere un amico.
Unica civetteria, l’aver fatto affrescare da Tullio Pericoli una sala riunioni del pianterreno che è così diventata la «Sistina Garzanti». Il soffio che agita autori e libri sulla volta è proprio quello del dottor Livio: imprevedibile, inesauribile, inimitabile. Indispensabile.