la Repubblica, 1 luglio 2021
Intervista a Marco Morricone (racconta suo padre)
È passato un anno dalla scomparsa di Ennio Morricone ma la sua musica è più viva che mai. Musica indimenticabile che ha segnato epoche, stagioni, momenti diversi della storia del cinema ma anche della nostra vita e che Repubblica vuole celebrare portando in edicola, da domani, una Complete Collection composta da 15 cd, un’imperdibile collezione che raccoglie il meglio della sua immensa produzione, dalla musica per il cinema e la televisione alla musica contemporanea, dagli arrangiamenti d’orchestra fino ai brani originali scritti per grandi interpreti, ogni aspetto della poliedrica musicalità del Maestro.
Ad aprire la serie, domani, è Music for Cinema volume 1, 17 temi per film composti tra il 1964 e il 1965 – partendo da Per un pugno di dollari, passando per le musiche di I pugni in tasca e di Per qualche dollaro in più.
La collana proseguirà ogni settimana con altri CD, a 9.99 euro oltre al prezzo del giornale, offrendo una fotografia il più possibile completa di Morricone e del suo lavoro. «Il lavoro di un musicista», ci dice il figlio Marco Morricone, «una definizione che oggi sembra vaga, perché vengono definiti musicisti tutti, anche chi non sa scrivere nemmeno una nota. Mio padre invece è stato davvero un musicista, che ha studiato molto, sempre, e che si è messo sempre in discussione, cercando sempre di andare oltre quello che aveva imparato, andando alla ricerca di forme e modalità sempre diverse».
Un’instancabile curioso…
«Assolutamente curioso. E il mettere insieme la curiosità, con lo studio, lo trasformava in un profondo conoscitore di quello che non conosceva».
Ma che musica ascoltavate a casa?
«Niente. Se c’era lui in casa non ascoltavamo musica. Per noi figli era anche problematico, con gli amici ero quasi un disadattato, non conoscevo niente. Ma era un suo mantra, non ascoltava musica in casa. Poteva vivere circondato dai peggiori rumori, potevi andare vicino a lui a fare un buco nel muro con il trapano e non c’era problema, ma se sentiva una nota anche da lontano se ne accorgeva subito e chiedeva silenzio» Come mai?
«Aveva il timore di essere condizionato. Per un uomo come lui che aveva fatto della musica la sua modalità comunicativa, l’essere libero dai condizionamenti musicali era una condizione necessaria.
Viveva in una sua dimensione e tutto quello che poteva alterare l’equilibrio nella sua bolla gli creava disagio».
La musica era il suo binocolo per vedere il mondo, dunque.
«Leggeva il mondo attraverso la musica, sicuramente. E questo lo ha portato a vedere cose che altri non vedevano. E l’avere proposto con successo tanti concerti negli ultimi trent’anni gli ha fatto poi toccare con mano il fatto che alla fine quello che vedeva era vero, che la gente capiva ed amava la sua visione».
In realtà non è mai stato un divo…
«No, sapeva che se riesci con la tua musica ad arrivare nell’anima della gente hai vinto comunque, non c’è bisogno di fare la ruota come un pavone. Di certo il buon Dio gli aveva messo la mano sulla testa e gli aveva detto “devi fare questo”, era dotato di un grande talento al quale ha aggiunto tanto studio, e ha usato entrambi fino alla fine, come un forsennato. All’ultimo non ce la faceva più, l’ultimo pezzo, quello per le vittime del ponte Morandi di Genova, gliel’ho letteralmente estorto…».
Direbbe, come pensano in tanti, che la sua è stata musica classica dei nostri tempi?
«Non sta a me dirlo, non so se i libri di storia parleranno della musica di mio padre tra cento o duecento anni. Ma so che è stato uno dei pochi a creare una musica assolutamente trasversale. Distingueva tra la musica da film e la musica assoluta, ma di certo con la musica per il cinema ha toccato il cuore di generazioni molto diverse, di persone di estrazione culturale differente, ai concerti c’erano persone di 80 anni e di 15. Questo mi fa pensare che si sia inventato un modo nuovo di scrivere la musica, anche quella da film, quella che lui riteneva fatta per mestiere, su commissione, da fare con un certo metodo. E invece è musica che ha dimostrato nel tempo di vivere anche senza un film, musica viva, che aveva sempre qualcosa di nuovo».